New York, Mamdani e la paura di perdere status (e casa)

Il candidato democratico ha promesso una rivoluzione nel mercato immobiliare della Grande Mela. Una speranza per molti, una paura per altri: perché la casa, è la casa
November 5, 2025
New York, Mamdani e la paura di perdere status (e casa)
Zohran Mamdani negli ultimi giorni di campagna elettorale nel quartiere del Queens / REUTERS
In queste ore i nostri occhi guardano due grandi città, per simbolismo e storie, Roma e New York. Paura è una parola ricorrente nel racconto giornalistico di queste due cronache. A Roma abbiamo seguito con paura il crollo parziale di una torre medievale in ristrutturazione a due passi dal Colosseo, il crollo si è portato via la vita di Octay Stroici, manovale di origine rumena. Dall'altra parte dell'Atlantico, un po' di paura avvolge il voto per il nuovo sindaco, sembra spaventato anche il Presidente Donald Trump.
Mentre la vicenda romana è piena di elementi spaventosi (un crollo inaspettato in pieno giorno con più vite in pericolo), cosa spaventa dall'altra parte dell'Atlantico dove si sta celebrando il grande rito del voto democratico? Riporto qui alcuni dei titoli della stampa italiana:
- New York divisa tra pausa ed ambizione: la corsa di Mamdani spaventa conservatori e moderati
- L'altra metà della Mela: viaggio nella New York che ha paura di Mamdani
- Zohran Mamdani fa paura ai miliardari di New York
A leggere le cronache, Mamdani spaventa alcuni per il modello di città "affordable" che promuove: una città dove i servizi primari (l'educazione, la sanità, i trasporti) possano essere accessibili e gratuiti e dove la casa possa essere un diritto garantito a tutti. Molti si chiedono se sia possibile. Molti sono spaventati da perdere privilegi acquisiti, da un disinvestimento dalla sicurezza e dalla prospettiva di un cambio radicale delle regole comunitarie. Alla paura di alcuni corrisponde l'entusiasmo contagioso di altri. Al centro del programma di Zohran Mamdani c'è il diritto alla casa in una delle città più care al mondo, dove un affitto medio costa 4400 dollari al mese per un monolocale e cresce con un aumento del 10% all'anno, dove 300.000 persone vivono senza un tetto.
E' un problema antico quello della casa, che proveremmo a sdrammatizzare con l'antropologia e con l'aiuto delle pagine scritte dall'antropologo Andrea Staid nel suo saggio La casa vivente. Riparare gli spazi, imparare a costruire (Add Editore). Come racconta Staid, vivere e abitare sono sinonimi in molte lingue, le case sono "il bozzolo in cui l'essere umano prende forma" (Walter Benjamin) ma anche il risultato di scelte collettive. L'organizzazione dello spazio domestico è una proiezione dell'organizzazione sociale con le sue differenze di genere, di generazioni e con il ruolo che diamo alle varie attività dell'umano vivere e le sue cadenze temporali. Quella per la casa è diventata una lotta nelle società capitaliste.
Staid ci racconta di come ogni cultura possieda le proprie tradizioni abitative e di come alcune di queste pratiche possano aiutarci a pensare che quello di un tetto sopra la testa è davvero un tema comunitario e non un elemento di conflitto sociale. "Esistono molte “pratiche altrui” che potremmo considerare come altrettante occasioni per costruire un futuro migliore, lasciandoci ispirare, nei limiti delle diversità culturali". Ci sono luoghi in cui la casa non è un bene privato, in Amazzonia, per esempio, nelle comunità indigene la casa nasce e la casa muore, non è un investimento, così come succede per le case sugli alberi in Oceania costruite dalla popolazione dei Korowai, come anche le isole flottanti sul fiume Titicaca in Perù progettate dalla popolazione degli Uros, o ancora le tende tradizionali mongole. Una città dove abitare è un diritto è anche una città meno pericolosa perché allargare i diritti, invece che restringerli, è il miglior modo per rendere più sicuri i nostri contesti. Troppo bello per essere vero, forse. E, soprattutto, se c'è una componente di novità, tutto questo ci fa molta più paura. Molta paura.

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