Mamdani come Trump: ha vinto puntando sugli esclusi. E ora?
Il sindaco eletto a New York ha parlato di giustizia sociale, tasse ai ricchi e servizi pubblici gratuiti. Il duello col presidente degli Usa è appena incominciato

La cosa più facile da fare, a poche ore dal voto per la poltrona di sindaco a New York, è sopravvalutare il significato e la portata politica della vittoria di Zohran Mamdani. Certo, il nuovo primo cittadino della Grande Mela, con i suoi 34 anni appena compiuti, sarà il più giovane da fine Ottocento, nonché il primo musulmano e il primo nato in Africa, ammesso alla nazionalità americana solo dal 2018. Tutti elementi che colpiscono l’immaginario e ne fanno il personaggio ideale se si è in cerca di un anti-Trump, tanto più che ha trionfato nella città del tycoon con un programma “socialista democratico”, lontano dalla falce e martello che gli ha messo in mano il New York Post sulla sua prima pagina. Mamdani, in realtà, conferma una tendenza attuale nella base del Partito democratico, quella di premiare figure più o meno radicali – di qui la sconfitta dell’ex governatore e collega di schieramento Andrew Cuomo, erede di una dinastia super finanziata e sostenuta dall’establishment – e ribadisce l’ampio e storico orientamento liberal di New York. Questo non vuol dire che tutto fosse già scritto. Il 50% dei voti ottenuti è spiegato in buona misura dalla mobilitazione dei giovani, che hanno visto in lui una possibile svolta nell’amministrazione, oltre che un coetaneo simpatico e brillante, ex rapper, figlio di un mix di culture (origine mista indiano-ugandese-statunitense). Non irrilevante pure la sua posizione fortemente pro-Palestina in un momento cruciale della vicenda mediorientale (un elemento ideologico, insieme alla sua fede islamica, che potrebbe pesare in futuro). Ma non è tutto.
Mamdani ha posto la questione economica (casa, trasporti e infanzia) al centro della sua campagna. Le sue proposte sono dichiaratamente ambiziose e progettate per affrontare quella che viene chiamata la “crisi dell’accessibilità” a New York: affitti in crescita, costi elevati per allevare bambini, mezzi pubblici gravati da alte tariffe, difficoltà complessiva per le famiglie a reddito medio-basso. Su scala maggiore qualcosa di simile al dibattito che si è acceso recentemente in Italia sul “modello Milano”, i suoi costi e l’“espulsione” dai confini urbani dei meno abbienti. Tra le proposte più importanti, ora da realizzare, ci sono gli autobus gratuiti, il congelamento degli affitti con maggiore enfasi sulla responsabilità dei proprietari, soprattutto dove è forte il rischio di sfratto o si registra un’impennata dei costi di locazione nei quartieri in trasformazione. Più a lungo termine il progetto di triplicare le abitazioni a equo canone, attraverso la costruzione di alloggi in edifici realizzati da imprese che impieghino lavoratori sindacalizzati, garantendo qualità e salari dignitosi. Di forte impatto è anche la proposta di negozi alimentari gestiti direttamente dal Comune per contenere i prezzi dei generi di prima necessità. Segue l’assistenza all’infanzia universale, nella forma di servizi offerti da 6 settimane a 5 anni di età. Gli effetti benefici sulla partecipazione al lavoro, l’uguaglianza di genere e il benessere dei bambini risulterebbero notevoli, ma il costo per le casse pubbliche sarebbe altissimo. Infine, l’imposta fissa del 2% per redditi sopra 1 milione di dollari, misura pensata per finanziare le politiche descritte sopra. Chi ha redditi elevati, sostiene il sindaco eletto, deve contribuire maggiormente al sostegno della città. Donald Trump ha preso di mira Mamdani per questo programma di sinistra e poco “americano”, circostanza in parte vera vista la distanza (e la diffidenza) tra la Grande Mela e il Paese profondo. Tuttavia, il paradosso è che in modi totalmente diversi entrambi, il sindaco e il presidente, si sono rivolti nelle loro campagne elettorali ai “forgotten men”, i dimenticati, gli esclusi, i meno fortunati, contro i privilegi, gli interessi consolidati e i politici di professione. L’esito è stato favorevole sia per l’uno che per l’altro, i risultati sono ora da valutare sul campo.
Il capo della Casa Bianca non è ancora riuscito a raddrizzare la percezione negativa della situazione economica che ha spinto molti americani a preferirlo a Kamala Harris (lo dimostrano le nette vittorie democratiche in altri importanti voti statali). La sua ricetta mira alla crescita in un contesto di liberismo accentuato per le grandi compagnie e i grandi patrimoni, da tassare di meno. Di certo, le sue politiche non sono andate a favore dei poveri che, anzi, hanno visto tagli significativi alle misure di assistenza e sono colpiti anche in questi giorni dal blocco del settore statale provocato dalla maggioranza repubblicana in Congresso. La nuova guida di New York tenterà un esperimento che va in direzione opposta: più ruolo pubblico in economia, seppure a livello locale, più attenzione ai disagiati rispetto a chi si arricchisce con l’immobiliare e la finanza. La via della fiscalità che colpisce ricchi e super-ricchi può infiammare i comizi della vigilia, ma incontrerà alti ostacoli quando si tratterà di vararla e applicarla. Lo si è visto di recente anche in Francia, con la proposta dell’economista Zucman – tassa del 2% annuale sui patrimoni netti di oltre 100 milioni di euro –, bocciata dall’Assemblea nazionale malgrado il favore suscitato in significativi settori della società.
E se non si riescono a coprire i costi di servizi gratuiti o quasi gratuiti con nuove entrate, bisogna operare tagli altrove. Inoltre, molte competenze, dai trasporti all’edilizia, sono di pertinenza dello Stato di New York o condivise con la municipalità. Vanno poi considerate le “contromisure” che assumeranno imprese private e proprietà immobiliari di fronte a riforme molto avanzate. Vi è la prospettiva di forti azioni di critica veicolata dai media, lobbying, fino allo spostamento di sedi legali e capitali, come avvenuto altrove. Infine, ci sarà l’opposizione del presidente, che nella “sua” città vorrà combattere una battaglia senza esclusione di colpi, soprattutto dopo che lo stesso Mamdani gli ha sventolato di fronte il drappo rosso della sfida: «In un momento di tenebre, saremo la luce». Alcuni precedenti, come quello di Bill de Blasio, altro sindaco partito con obiettivi di riforme profonde, indicano che non sarà semplice portare un po’ di socialdemocrazia sulla East Coast. Dal primo gennaio (data di insediamento), assisteremo tuttavia a un laboratorio politico interessante, forse più per le due anime in conflitto del Partito democratico (in cui radicali e moderati si combattono) e noi spettatori europei che per la maggioranza dei cittadini statunitensi. A meno che sia proprio Trump a farne un ring sotto tutti i riflettori.
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