Fattorini: «Il Papa, Mattarella e la pace che parte dalle coscienze»
La storica della Chiesa: «Il rilancio del multilateralismo ha bisogno di una profonda riforma degli organismi sovranazionali. Sui diritti il Papa incisivo, senza moralismo»

«Un incontro molto caloroso, avvenuto in un clima davvero emozionante, a tratti commovente». Emma Fattorini, professoressa emerita di Storia contemporanea alla Sapienza, studiosa, in particolare, di storia della Chiesa (autrice, per Morcelliana, di Achille Silvestrini, la diplomazia della speranza) è la persona giusta per commentare questa visita al Quirinale di Leone XIV, la prima del pontificato, come prevedibile caratterizzata in larga misura dal tema della pace.
Ha trovato consonanza fra il Papa e Mattarella?
Piena consonanza. Sul Medio Oriente, con l’impegno di entrambi per i due Stati e l’auspicio di una pace a Gaza per la quale c’è piena e comune consapevolezza delle difficoltà. Così sull’Ucraina, Mattarella ha di nuovo parlato di «aggressione», ma anche Prevost sin da inizio pontificato ha garantito pieno sostegno all’Ucraina.
Comune anche l’insistenza sui popoli come protagonisti della pace.
Si è parlato di disarmare gli animi prima che gli eserciti. Di pacificare le coscienze. Si pensi al clima di astiosa polarizzazione, al linguaggio di odio che caratterizza i social. Non è un richiamo retorico, è un lavoro che richiede tempo ed elaborazione, da fare insieme. Veniamo da anni in cui i Tg non hanno fatto altro che mostrare immagini di morte e distruzione. Mattarella ha parlato di rischio di «assuefazione», il Papa ha ricordato le parole di Giovanni XXIII sulla pace legata al concetto di persona, entrambi hanno indicato l’urgenza di ricostruire un nuovo umanesimo basato su uguaglianza e solidarietà. Mattarella ha citato il celebre messaggio di Natale del 1944 di Pio XII che col mondo ancora in macerie indicava la via della democrazia come antidoto alla guerra, quanto mai attuale.
Che ruolo può avere ancora la diplomazia?
La diplomazia non ha trovato spazio, eppure è necessario un ritorno al multilateralismo e una ripresa di efficacia degli strumenti offerti dagli organismi internazionali e sovra-nazionali. I quali però hanno mostrato la loro inadeguatezza al nuovo ordine mondiale che si va disegnando e vanno rifondati in profondità.
Incisiva anche la seconda parte del discorso del Papa, dedicata ai diritti, alla famiglia, alla vita.
Ha fatto una ricognizione attenta, precisa e per nulla moralista. Sulla famiglia ha chiesto di non seguire le mode, quanto piuttosto la storia e la tradizione su cui affondano le nostre radici. Difende la vita, dal concepimento alla fine, ma anche “durante”, garantendo a tutti il diritto alla salute. Ma il suo è un discorso che parla a tutti e che cerca l’unità. Ricordiamo bene le sue parole dedicate ai pro life della destra cattolica americana, quando ha ammonito che non si può essere contro l’aborto e poi a favore della pena di morte. Parole equilibrate anche sull’immigrazione, abbinando il dovere della solidarietà all’esigenza di avere rispetto per la cultura e la storia dei Paesi in cui si vive.
Unità è la parola più ricorrente per il Papa. Ma non meno lo è per Mattarella.
Il capo dello Stato ha parlato di «paure sconosciute» in relazione alle grandi sfide che abbiamo davanti: IA, clima, grandi migrazioni. Insieme hanno insistito sulla necessità di uscirne tutti insieme.
Il Papa ha evocato anche lo spirito delle modifiche concordatarie del 1984.
Fu un capolavoro della diplomazia che regola in modo moderno i rapporti fra Stato e Chiesa, ma anche quelli con le altre religioni. Uno strumento ancora poco conosciuto, che andrebbe meglio valorizzato e ripreso.
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