Almasri, la procura dell'Aia chiede il deferimento dell'Italia
di Redazione
Secondo gli inquirenti troppe falle nelle spiegazioni di Roma. Ora la proposta è che ad occuparsene sia l'Assemblea degli Stati che aderiscono alla Corte penale o il Consiglio di Sicurezza dell'Onu

Le spiegazioni del governo italiano sul rilascio di Nijeem Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria libica accusato di crimini contro l’umanità, non convincono la procura dell’Aja, che quindi mantiene intatta «la sua richiesta di accertare formalmente l'inadempienza» di Roma e «di deferire la questione all'Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». È quanto si legge e nelle osservazioni dell’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale, che in un documento di 14 pagine smonta punto per punto le giustificazioni dell’esecutivo sul rimpatrio del carceriere di Mittiga, prigione degli orrori non lontana da Tripoli dove, secondo la Cpi, dal febbraio del 2011sarebbero state uccise almeno 34 persone.
Le tappe della vicenda
Riavvolgiamo il nastro: il 18 gennaio la Cpi, con una maggioranza di due giudici a uno, spicca un mandato d'arresto per il generale libico. Il giorno successivo Almasri è a Torino per assistere a una partita della Juventus, ultima tappa di un viaggio per l’Europa iniziato 12 giorni prima. La Digos del capoluogo piemontese lo arresta, ma appena due giorni dopo, il 21 gennaio, Almasri viene rilasciato su disposizione della Corte d'Appello di Roma e riportato in Libia con un volo di Stato. I giudici capitolini informano che l’arresto non è stato «preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale», ma spiegano anche che Nordio «è stato interessato» del caso «in data 20 gennaio» e cioè «immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino». Il guardasigilli, però, «non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito».
Il caso suscita lo sdegno delle opposizioni, che chiedono a Nordio e al collega dell’Interno Matteo Piantedosi di riferire in Parlamento. Il primo rivendica l’irritualità dell’arresto, sostenendo di non aver avuto un’interlocuzione diretta con la Cpi. Sappiamo però che al ministero, anche se non direttamente a Nordio, il fascicolo contenente il mandato di arresto internazionale è arrivato eccome. Piantedosi si limita a motivare il rimpatrio con il pericolo sociale rappresentato dal generale libico. Peccato che la pericolosità di Almasri, più che nella veste di turista in Italia, risiede nel suo ruolo di carceriere in Libia, dove Roma ha pensato bene di riportarlo.
Il caso suscita lo sdegno delle opposizioni, che chiedono a Nordio e al collega dell’Interno Matteo Piantedosi di riferire in Parlamento. Il primo rivendica l’irritualità dell’arresto, sostenendo di non aver avuto un’interlocuzione diretta con la Cpi. Sappiamo però che al ministero, anche se non direttamente a Nordio, il fascicolo contenente il mandato di arresto internazionale è arrivato eccome. Piantedosi si limita a motivare il rimpatrio con il pericolo sociale rappresentato dal generale libico. Peccato che la pericolosità di Almasri, più che nella veste di turista in Italia, risiede nel suo ruolo di carceriere in Libia, dove Roma ha pensato bene di riportarlo.
Le accuse della procura dell'Aja
Non è tutto: oltre tre mesi dopo il rilascio, scrive la procura dell’Aja, «l'Italia solleva per la prima volta l'esistenza di una presunta richiesta di estradizione concorrente dalla Libia», che ad avviso del governo giustificherebbe il rilascio del criminale libico. Se non fosse che «la documentazione fornita da Roma – continua il documento – non include alcun mandato di arresto». Paradossalmente, quindi, «sembra che dopo aver ricevuto due richieste concorrenti, l’Italia non abbia ottemperato a nessuna delle due» e Almasri «non è stato né consegnato alla Corte né estradato (o arrestato) in Libia al suo ritorno. Al contrario, è stato rilasciato e trasferito liberamente a Tripoli, dove è stato accolto da una folla festante». In realtà, documenti "confidenziali" confermano che una richiesta di estradizione da Tripoli è effettivamente partita mentre Almasri si trovava in Italia, ma evidentemente all'Aja i contenuti della documentazione non sono stati considerati né inoppugnabili né tempestivi. Come dire che la toppa è peggio del buco.
Inoltre, anche se l’esecutivo italiano «separa attentamente i ruoli svolti da diversi organi statali nel mancato arresto di Almasri, non è rilevante determinare quale autorità statale sia maggiormente responsabile – osserva ancora L’Aja – ma se, complessivamente, uno Stato Parte non ha adempiuto a una richiesta della Corte, impedendo così l'esercizio delle sue funzioni». Ne consegue che «l’Italia non ha rispettato i suoi obblighi».
Riguardo ai presunti ostacoli di diritto interno italiano e quindi agli errori procedurali legati all’arresto di Almasri, la procura internazionale chiarisce che «non costituiscono giustificazione per la mancata cooperazione», perché «gli Stati Parte sono tenuti a garantire che esistano procedure disponibili per tutti i tipi di cooperazione previsti dallo Statuto». Il che significa che Roma non ha fornito alcuna «spiegazione valida né giustificazione per la mancata cooperazione e l’inosservanza delle richieste della Corte».
A tutto ciò vanno aggiunti due elementi: almeno ufficialmente, e stando a quanto riferito finora dalle parti in causa, il premier libico Dabaiba non ha mai chiesto di riportare Almasri a casa. In secondo luogo, l’arresto da parte della Digos di Torino viene confermato dalle autorità italiane almeno 36 ore dopo l’effettiva cattura (nel pomeriggio del 20 gennaio), il che fa pensare alla volontà di tenere coperta la notizia e quindi alla consapevolezza che la decisione di rimpatriare Almasri non sarebbe stata accolta con favore dall’opinione pubblica.
Inoltre, anche se l’esecutivo italiano «separa attentamente i ruoli svolti da diversi organi statali nel mancato arresto di Almasri, non è rilevante determinare quale autorità statale sia maggiormente responsabile – osserva ancora L’Aja – ma se, complessivamente, uno Stato Parte non ha adempiuto a una richiesta della Corte, impedendo così l'esercizio delle sue funzioni». Ne consegue che «l’Italia non ha rispettato i suoi obblighi».
Riguardo ai presunti ostacoli di diritto interno italiano e quindi agli errori procedurali legati all’arresto di Almasri, la procura internazionale chiarisce che «non costituiscono giustificazione per la mancata cooperazione», perché «gli Stati Parte sono tenuti a garantire che esistano procedure disponibili per tutti i tipi di cooperazione previsti dallo Statuto». Il che significa che Roma non ha fornito alcuna «spiegazione valida né giustificazione per la mancata cooperazione e l’inosservanza delle richieste della Corte».
A tutto ciò vanno aggiunti due elementi: almeno ufficialmente, e stando a quanto riferito finora dalle parti in causa, il premier libico Dabaiba non ha mai chiesto di riportare Almasri a casa. In secondo luogo, l’arresto da parte della Digos di Torino viene confermato dalle autorità italiane almeno 36 ore dopo l’effettiva cattura (nel pomeriggio del 20 gennaio), il che fa pensare alla volontà di tenere coperta la notizia e quindi alla consapevolezza che la decisione di rimpatriare Almasri non sarebbe stata accolta con favore dall’opinione pubblica.
Le reazioni
Per Mediterranea Saving Humans, le osservazioni della Cpi delineano «un fatto gravissimo», per questo la ong chiede «che il Tribunale dei Ministri di Roma, prendendo atto di ciò che la Corte dell’Aja ha appurato, concluda senza indugi le indagini in corso per l’ipotesi di reato di favoreggiamento contro i ministri Nordio e Piantedosi, il sottosegretario Mantovano e la Presidente del Consiglio Meloni. E che la giustizia internazionale si attivi di conseguenza a ogni livello». Il leader di Si, Nicola Fratoianni, e Osvaldo Napoli di Azione evidenziano entrmabi «la pessima figura» del governo, mentre il segretario di PiùEuropa, Riccardo Magi, stigmatizza la «colpevole corresponsabilità nel rilascio di un macellaio». Per Angelo Bonelli di Avs l’esecutivo di Meloni «pone l’Italia fuori dalla legge». Sino a sera, nessuna reazione ufficiale dal governo o dal ministero della Giustizia.
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