sabato 11 aprile 2020
"Portiamo il canto della vita. Mettiamo a tacere le grida di morte, basta guerre. Si fermino la produzione e il commercio di armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno. Cessino gli aborti"
Il Papa alla Veglia Pasquale in San Pietro

Il Papa alla Veglia Pasquale in San Pietro - Reuters

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«Il diritto alla speranza», «un diritto fondamentale che non ci sarà tolto» è stato conquistato «stanotte». E «non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza. È una speranza nuova, viva… ».

A tu per tu con il mondo intero sconvolto dalla pandemia, in quest’inaudita Veglia pasquale dentro una Basilica di San Pietro deserta, papa Francesco ha parlato di speranza e di coraggio. Ha rotto il “grande silenzio”. E proprio in questa Veglia che è “madre di tutte le Veglie”, come la definiva sant’Agostino, perché celebra la vittoria definitiva di Cristo risorto sulle tenebre del male e della morte, il Papa ha voluto così ripetere all’umanità che la paura e il silenzio sepolcrale non sono il punto di arrivo della storia. Che il buio e la morte non hanno l’ultima parola, che l’annuncio pasquale è annuncio di speranza.

Nelle sue parole il riferimento costante alla drammatica situazione provocata dal coronavirus. «Tutto andrà bene, diciamo con tenacia in queste settimane, aggrappandoci alla bellezza della nostra umanità e facendo salire dal cuore parole di incoraggiamento – ha detto papa Francesco – ma, con l’andare dei giorni e il crescere dei timori, anche la speranza più audace può evaporare. La speranza di Gesù è diversa. Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita».

La tomba è il luogo dove chi entra non esce. «Ma Gesù – ha proseguito il Papa – è uscito per noi, è risorto per noi, per portare vita dove c’era morte, per avviare una storia nuova dove era stata messa una pietra sopra. Lui, che ha ribaltato il masso all’ingresso della tomba, può rimuovere i macigni che sigillano il cuore. Perciò non cediamo alla rassegnazione, non mettiamo una pietra sopra la speranza. Possiamo e dobbiamo sperare, perché Dio è fedele».

Come hanno sperato le donne del Sabato Santo del Vangelo, il giorno del grande silenzio, che hanno visto il dramma della sofferenza, di una tragedia inattesa accaduta troppo in fretta ma in quella situazione – ha spiegato il Papa – le donne non si sono lasciate paralizzare, e hanno preparato nel buio di quel sabato “l’alba del primo giorno della settimana”, il giorno che avrebbe cambiato la storia. «Quante persone, nei giorni tristi che viviamo, hanno fatto e fanno come quelle donne, seminando germogli di speranza!». «Le donne, alla fine – ha detto papa Francesco – abbracciarono i piedi di Gesù, quei piedi che per venirci incontro avevano fatto un lungo cammino, fino ad entrare e uscire dalla tomba. Abbracciarono i piedi che avevano calpestato la morte e aperto la via della speranza». Il Papa chiede perciò di avere coraggio, perché «coraggio è una parola che nei Vangeli esce sempre dalla bocca di Gesù» e questi «desidera che portiamo la speranza lì, nella vita di ogni giorno».

Il coraggio – afferma il Papa – contiene una seconda parte, l’invio. «Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea» è scritto nel Vangelo e «ritornare in Galilea – spiega – è ricordarsi di essere stati amati e chiamati da Dio». Noi, continua, «abbiamo bisogno di riprendere il cammino, ricordandoci che nasciamo e rinasciamo da una chiamata gratuita d’amore». «Questo è il punto da cui ripartire sempre, soprattutto nelle crisi, nei tempi di prova» ha detto ancora Francesco. Ma per il Papa c’è di più. La Galilea era la “Galilea delle genti”. E per questo domanda: «Gesù invia lì, chiede di ripartire da lì. Che cosa ci dice questo? Che l’annuncio di speranza non va confinato nei nostri recinti sacri, ma va portato a tutti. Perché tutti hanno bisogno di essere rincuorati e, se non lo facciamo noi, che abbiamo toccato con mano “il Verbo della vita” chi lo farà?».

E questo è per il Papa il messaggio finale della speranza cristiana: quello di essere annunciatori di vita in tempo di morte. «In ogni Galilea, in ogni regione di quell’umanità a cui apparteniamo e che ci appartiene, perché tutti siamo fratelli e sorelle, portiamo il canto della vita! Mettiamo a tacere le grida di morte, basta guerre! Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno. Cessino gli aborti, che uccidono la vita innocente. Si aprano i cuori di chi ha, per riempire le mani vuote di chi è privo del necessario».

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