lunedì 9 gennaio 2023
Nel discorso d'inizio anno, Francesco ha ricordato i conflitti in corso. Preoccupa l'affievolirsi della democrazia. Aborto diritto presunto. Cristiani perseguitati in nome di una falsa inclusione
Il Papa: «Occorre un disarmo integrale»

Vatican Media

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“Un’invocazione di pace in un mondo che vede crescere divisioni e guerre” nell’anno in cui si ricorda il 60mo dell’enciclica Pacem in Terris di san Giovanni XXIII. E’ questo il senso che Papa Francesco ha voluto dare al consueto discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede tenutosi questa mattina.

Il Pontefice ha innanzitutto espresso “gratitudine” per “i messaggi di cordoglio inviati in occasione della morte del Papa emerito Benedetto XVI e per la vicinanza manifestata durante le esequie”. Mostrandosi altresì “riconoscente per l’attenzione che i vostri Paesi rivolgono alla Santa Sede, marcata, tra l’altro, nel corso dell’ultimo anno, dalla scelta della Svizzera, della Repubblica del Congo, del Mozambico e dell'Azerbaigian di nominare Ambasciatori residenti a Roma, come pure dalla sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali con la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe e con la Repubblica del Kazakhstan”.

Pur non essendoci ancora rapporti diplomatici con Pechino Francesco ha voluto pure ricordare che, “nel contesto di un dialogo rispettoso e costruttivo, la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno concordato di prorogare per un altro biennio la validità dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, stipulato a Pechino nel 2018”. Con l’auspicio che “tale rapporto collaborativo possa svilupparsi a favore della vita della Chiesa cattolica e del bene del Popolo cinese”.

Ricordando il sessantesimo anniversario dell’Enciclica Pacem in terris il Pontefice ribadisce che “il possesso di armi atomiche è immorale poiché – come osservava Giovanni XXIII – ‘se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico’”. Da questo punto di vista, “particolare preoccupazione desta lo stallo dei negoziati circa il riavvio del Piano d'azione congiunto globale, meglio noto come Accordo sul nucleare iraniano”.

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Per il Papa “oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti”. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, “con il suo strascico di morte e distruzione; con gli attacchi alle infrastrutture civili che portano le persone a perdere la vita non solo a causa degli ordigni e delle violenze, ma anche di fame e di freddo”. Al riguardo Francesco non cita la Russia ma ricorda quanto affermato nel paragrafo 80 della Costituzione conciliare Gaudium et spes: “ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione”. Di qui l’appello “a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

Parlando della “terza guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo” Francesco fa riferimento ad altri teatri di tensioni e conflitti. Alla Siria, “una terra martoriata”. All’”aumento della violenza tra palestinesi e israeliani, con la conseguenza drammatica di molte vittime e di una totale sfiducia reciproca”. A Gerusalemme, “città santa per ebrei, cristiani e musulmani”. Il papa confida “che essa possa ritrovare tale vocazione ad essere luogo e simbolo di incontro e di coesistenza pacifica, e che l’accesso e la libertà di culto nei Luoghi Santi continui ad essere garantito e rispettato secondo lo status quo”. E auspica che “le autorità dello Stato d’Israele e quelle dello Stato di Palestina possano ritrovare il coraggio e la determinazione nel dialogare direttamente al fine di implementare la soluzione dei due Stati in tutti i suoi aspetti, in conformità con il diritto internazionale e con tutte le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite”. Il papa fa riferimento anche a due Paesi che visiterà a fine mese. La Repubblica Democratica del Congo, “con l’auspicio che cessino le violenze nell’est del Paese e prevalga la via del dialogo e la volontà di lavorare per la sicurezza e il bene comune”. E il Sud Sudan dove insieme all’Arcivescovo di Canterbury e al Moderatore Generale della Chiesa Presbiteriana di Scozia si unirà “al grido di pace della popolazione e contribuire al processo di riconciliazione nazionale”. Il Papa poi ricorda le crisi nel Caucaso meridionale, nello Yemen, in Etiopia e in altri Paesi africani, e poi la situazione del Myanmar, e quella della penisola coreana. “Tutti i conflitti – sottolinea il Papa - pongono comunque in rilevo le conseguenze letali di un continuo ricorso alla produzione di nuovi e sempre più sofisticati armamenti”. Di qui la necessità di “scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte”.

Ma in un tempo così conflittuale come si può “ritessere i fili della pace”? Da dove ripartire? Per abbozzare una risposta il Papa richiama alcuni elementi della Pacem in terris, “un testo estremamente attuale pur essendo mutato gran parte del contesto internazionale”. Per San Giovanni XXIII, “la pace è possibile alla luce di quattro beni fondamentali: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà”.

Parlando della pace nella verità Francesco osserva che “nonostante gli impegni assunti da tutti gli Stati di rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali di ogni persona, ancor oggi, in molti Paesi, le donne sono considerate come cittadini di seconda classe”. Sono “oggetto di violenze e di abusi e viene loro negata la possibilità di studiare, di lavorare, di esprimere i propri talenti, l’accesso alle cure sanitarie e persino al cibo”. La pace poi “esige anzitutto che si difenda la vita, un bene che oggi è messo a repentaglio non solo da conflitti, fame e malattie, ma fin troppo spesso addirittura dal grembo materno, affermando un presunto ‘diritto all’aborto’”. Ma “nessuno può vantare però diritti sulla vita di un altro essere umano, specialmente se è inerme e dunque privo di ogni possibilità di difesa”. Invece “vi è una precipua responsabilità degli Stati di garantire l’assistenza dei cittadini in ogni fase della vita umana, fino alla morte naturale”.

Per Francesco “il diritto alla vita è minacciato anche laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne”. Di qui l’appello appello perché “la pena di morte, che è sempre inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo”.

Facendo riferimento all’emergere sempre più di una “paura” della vita, che si traduce in molti luoghi nel timore dell’avvenire e nella difficoltà a formare una famiglia e mettere al mondo dei figli, il Papa rivolge il suo sguardo all’Italia, dove “è in atto un pericoloso calo della natalità, un vero e proprio inverno demografico, che mette in pericolo il futuro stesso della società”. “Al caro popolo italiano, - dice Francesco - desidero rinnovare il mio incoraggiamento ad affrontare con tenacia e speranza le sfide del tempo presente, forte delle proprie radici religiose e culturali”.


Francesco sottolinea l’importanza dell’educazione. In tal senso, “è inaccettabile che parte della popolazione possa essere esclusa dall’educazione, come sta accadendo alle donne afgane”. “Gli Stati – è il suo appello - abbiano il coraggio di invertire l’imbarazzante e asimmetrico rapporto tra la spesa pubblica riservata all’educazione e i fondi destinati agli armamenti!”.

E poi la pace “esige anche che sia riconosciuta universalmente la libertà religiosa”. “Non posso non menzionare, - aggiunge il Papa - come alcune statistiche dimostrano, che un cristiano ogni sette viene perseguitato”. Ma “è bene non dimenticare che la violenza e le discriminazioni contro i cristiani aumentano anche in Paesi dove questi non sono una minoranza”. Infatti la libertà religiosa “è messa in pericolo anche laddove i credenti vedono ridotta la possibilità di esprimere le proprie convinzioni nell’ambito della vita sociale, in nome di un malinteso concetto di inclusione”.


Parlando di pace nella giustizia Francesco ribadisce la convinzione che le contese possano risolversi nell’ambito del diritto internazionale e tramite quelle organizzazioni, principalmente le Nazioni Unite, sorte dopo la Seconda Guerra Mondiale, che hanno sviluppato la diplomazia multilaterale. Ma “l’attuale conflitto in Ucraina ha reso più evidente la crisi che da tempo interessa il sistema multilaterale, il quale abbisogna di un ripensamento profondo per poter rispondere adeguatamente alle sfide del nostro tempo”. Ciò “esige una riforma degli organi che ne consentono il funzionamento, affinché siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli, evitando meccanismi che diano ad alcuni maggior peso a scapito di altri”.


Francesco in particolare denuncia il fatto che “i vari fori internazionali sono stati contraddistinti da crescenti polarizzazioni e da tentativi di imporre un pensiero unico, che impedisce il dialogo e marginalizza coloro che la pensano diversamente”. C’è così “il rischio di una deriva, che assume sempre più il volto di un totalitarismo ideologico, che promuove l’intolleranza nei confronti di chi non aderisce a pretese posizioni di ‘progresso’, le quali in realtà sembrano portare piuttosto a un generale regresso dell’umanità, con violazione della libertà di pensiero e di coscienza”. Infatti “risorse sempre maggiori sono state impiegate per imporre, specialmente nei confronti dei Paesi più poveri, forme di colonizzazione ideologica, creando peraltro un nesso diretto fra l’elargizione di aiuti economici e l’accettazione di tali ideologie”.

Parlando di pace nella solidarietà Francesco affronta il tema delle migrazioni, che interessa intere regioni della Terra. Si tratta di una questione per la quale “’procedere in ordine sparso’ non è ammissibile”. Per comprenderlo “basta guardare al Mediterraneo, divenuto un grande cimitero”. In Europa, afferma il Papa, “è urgente rafforzare la cornice normativa, attraverso l’approvazione del Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, perché si possano implementare adeguate politiche per accogliere, accompagnare, promuovere e integrare i migranti”. Nello stesso tempo, “la solidarietà esige che le doverose operazioni di assistenza e cura dei naufraghi non gravino interamente sulle popolazioni dei principali punti d’approdo”.

Riguardo l’economia per il Papa “occorre ridare dignità all’impresa e al lavoro, combattendo ogni forma di sfruttamento che finisce per trattare i lavoratori alla stregua di una merce”. Mentre per “gli effetti dei cambiamenti climatici e le gravi conseguenze che essi hanno sulla vita di intere popolazioni” ribadisce che la Santa Sede intende “dare il proprio sostegno morale agli sforzi di tutti gli Stati per cooperare, in conformità con le loro responsabilità e rispettive capacità, a una risposta efficace e adeguata”. Con la speranza che i passi compiuti alla COP27, con l’adozione dello Sharm el-Sheikh Implementation Plan, “anche se limitati, possano accrescere la presa di coscienza di tutta l’umanità verso una questione urgente che non può più essere elusa”.


Infine, sottolinea il Papa, “costruire la pace esige che non via sia posto per la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa”. In questo senso “desta preoccupazione l’affievolirsi, in molte parti del mondo, della democrazia e della possibilità di libertà che essa consente, pur con tutti i limiti di un sistema umano”. Ne fanno “tante volte le spese le donne o le minoranze etniche, nonché gli equilibri di intere società in cui il disagio sfocia in tensioni sociali e persino in scontri armati”. In molte aree, un segno di affievolimento della democrazia “è dato dalle crescenti polarizzazioni politiche e sociali, che non aiutano a risolvere i problemi urgenti dei cittadini”. Francesco evoca le “varie crisi politiche in diversi Paesi del continente americano, con il loro carico di tensioni e forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali”. E in particolare fa riferimento ad Haiti, a quanto accaduto recentemente in Perù e nelle ultime ore in Brasile. E poi al Libano, “dove si è ancora in attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica”, con l’auspicio “che tutti gli attori politici si impegnino per consentire al Paese di riprendersi dalla drammatica situazione economica e sociale in cui versa”.

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