Papa Francesco con una famiglia all'incontro con il Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II - Vatican Media
«Voglio raccontarvi un’esperienza che ho avuto in piazza [San Pietro ndr], quando facevo il saluto prima della pandemia» ha detto il Papa ai presenti all’udienza di questa mattina nella Sala Clementina del Palazzo apostolico, ovvero la comunità accademica del
Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia
. «Una coppia, sembravano giovani – 60 anni di matrimonio! –, sì, erano giovani, perché lei allora ne aveva 18 e lui 20, e ho detto: “Ma voi non vi annoiate dopo tanti anni? State bene?”. Si sono guardati, io sono rimasto fermo, e poi si sono girati, piangevano: “Ci amiamo”. È stata la risposta dopo 60 anni. Questa è stata la migliore, la più bella teologia sulla famiglia che ho visto».
Francesco ha reiterato un suo consiglio di vita: «Il matrimonio e la famiglia avranno sempre imperfezioni, finché non saremo in Cielo. Ai novelli sposi sempre dico: se volete, litigate, tutto quello che volete, ma a patto che facciate la pace prima che finisca la giornata. Questa capacità di “rifarsi” che ha la famiglia davanti alle difficoltà è una grazia, perché se non si rifà, la “guerra fredda” del giorno dopo è pericolosa. Eppure, noi consegniamo al Signore la nostra stessa imperfezione, perché trarre dalla grazia del sacramento una benedizione per la creatura a cui è affidata la trasmissione del senso della vita – non solo della vita fisica – è il “possibile” di Dio».
Bergoglio ha poi ricordato le ricadute sociali che ha la qualità della vita familiare: «La famiglia rimane una insostituibile “grammatica antropologica” degli affetti umani fondamentali. La forza di tutti i legami di solidarietà e di amore apprende lì, nella famiglia, i suoi segreti. Quando questa grammatica è trascurata o sconvolta, l’intero ordine delle relazioni umane e sociali ne patisce le ferite. E a volte sono ferite profonde, molto profonde». Così «la qualità del matrimonio e della famiglia decide la qualità dell’amore della singola persona e dei legami della stessa comunità umana. È perciò responsabilità sia dello Stato sia della Chiesa ascoltare le famiglie, in vista di una prossimità affettuosa, solidale, efficace: che le sostenga nel lavoro che già fanno per tutti, incoraggiando la loro vocazione per un mondo più umano, ossia più solidale e più fraterno».