martedì 29 marzo 2022
Il primo gruppo di sopravvissuti e custodi della memoria degli abusi subiti dai bambini in istituti gestiti da enti cristiani. Venerdì l’udienza pubblica. «Ci siamo sentiti ascoltati»
La delegazione degli indigeni dal Canada in Piazza San Pietro

La delegazione degli indigeni dal Canada in Piazza San Pietro - Andrea Solaro / Afp / Ansa

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È un percorso fatto di «verità, giustizia, guarigione, riconciliazione», quello che ha portato in Vaticano 32 indigeni anziani, custodi della memoria e sopravvissuti delle scuole residenziali canadesi insieme ai giovani, provenienti da tutto il paese, e ad alcuni vescovi della Conferenza episcopale del Paese nordamericano. E sono le stesse parole che - secondo la loro testimonianza - papa Francesco ha ripetuto in inglese dopo il primo incontro avvenuto ieri. «Lo prendiamo come un impegno personale», hanno detto i rappresentanti del gruppo.

Ieri mattina, infatti, come riferito dal direttore della Sala Stampa, Matteo Bruni, nel corso di due udienze successive il Pontefice ha incontrato due gruppi di rappresentanti di popolazioni indigene canadesi, circa 10 delegati dei Métis e circa 8 degli Inuit, accompagnati da alcuni vescovi canadesi. «Ciascun incontro – ha spiegato Bruni – ha avuto la durata di circa un’ora ed è stato caratterizzato, da parte del Papa, dal desiderio di ascoltare e fare spazio alle dolorose storie portate dai sopravvissuti. Gli incontri e l’ascolto proseguiranno nei prossimi giorni. E venerdì ci sarà l’udienza pubblica».

Nella tarda primavera del 2020 venne rilanciata su scala mondiale la drammatica notizie del ritrovamento in Canada di una fossa comune in una scuola, la Kamloops Indian Residential School, con oltre 200 resti umani di indigeni canadesi. Fu così scoperchiata la storia delle crudeltà commesse in alcuni istituti finanziati dal governo e gestiti in maggior parte da organizzazioni cristiane, nei quali si cercava di convertire forzatamente i giovani indigeni attraverso quelli che Vatican News anche ieri ha definito «abusi sistematici». Secondo alcune stime, più di 150 mila bambini nativi furono costretti a frequentare le scuole cristiane finanziate dallo Stato per quasi un secolo nel tentativo di isolarli dall’influenza delle loro famiglie e della loro cultura, cristianizzarli e assimilarli agli altri abitanti.

Al primo macabro ritrovamento ne seguirono altri e il 6 giugno 2020 il Pontefice aveva esternato il proprio sgomento per queste orrende pratiche. Contemporaneamente l’episcopato canadese aveva fatto un immediato “mea culpa”, mettendo in atto una serie di progetti di sostegno alle comunità indigene e avviando così un processo di riconciliazione che ha portato fino agli incontri con il Papa di questa settimana. Al termine del primo dei quali la delegazione dei sopravvissuti agli abusi ha incontrato la stampa internazionale, poco fuori da piazza San Pietro.

«Sebbene il momento del riconoscimento, delle scuse e dell’espiazione sia atteso da tempo, non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta», ha detto Cassidy Caron, presidente del Consiglio nazionale Métis, sottolineando che il Pontefice ha ascoltato attentamente mentre tre dei tanti sopravvissuti gli raccontavano le loro storie personali e ha mostrato dolore. «Ci auguriamo – ha aggiunto – che impegnandosi con noi in un’azione reale, la Chiesa possa finalmente iniziare il proprio percorso verso una riconciliazione significativa e duratura».

La rappresentante Métis era insieme ad alcuni violinisti che hanno eseguito in piazza musiche tradizionali. Lei stessa indossava una giacca di perline fatta a mano e ha informato i giornalisti che la delegazione ha donato a Francesco un paio di mocassini rossi con perline. I mocassini sono stati offerti «come segno della volontà del popolo Metis di perdonare se c’è un’azione significativa da parte della Chiesa», ha spiegato il gruppo in una nota.

Tra i presenti all’incontro con il Papa, Angie Crerar, 85 anni, ha detto: «Ero molto nervosa, ma dopo che mi ha parlato, anche se non capivo tutto quello che diceva, il suo sorriso, le sue reazioni, il suo linguaggio del corpo, mi hanno fatto sentire quest’uomo un amico».

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