domenica 5 febbraio 2023
La conferenza stampa congiunta di papa Francesco, l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia di ritorno dal viaggio in Congo e Sud Sudan
La conferenza stampa congiunta in aereo

La conferenza stampa congiunta in aereo - Ansa

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Sul volo di ritorno dalla capitale del Sud Sudan la conferenza stampa congiunta di papa Francesco, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, e il moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, Ian Greenshields. All’inizio Francesco ha ribadito che «questo è stato un viaggio ecumenico» e per questo ha «voluto che nella conferenza stampa ci fossero anche loro due. Soprattutto l’arcivescovo di Canterbury, che ha una storia di anni in questa strada di riconciliazione in Sud Sudan».

Dalla guerre ai prossimi viaggi, a colloquio con i giornalisti, i tre leader, in diversi casi, rispondono congiuntamente alle domande. Francesco ha parlato anche di Benedetto XVI: “La sua morte è stata strumentalizzata da gente di partito e non di Chiesa, lui non era amareggiato per quello che io ho fatto”. E sugli omosessuali: “Criminalizzarli è un’ingiustizia”. Prima di rispondere alle domande l’Arcivescovo di Canterbury e il moderatore della Chiesa di Scozia hanno spiegato il percorso che li ha portati fin qui.

WELBY: Nel gennaio del 2014 io e mia moglie abbiamo visitato il Sud Sudan nel quadro di un viaggio della comunione anglicana. Arrivando, il nostro arcivescovo ci ha chiesto di andare ad una città chiamata Bor. La guerra civile era iniziata da cinque settimane ed era molto feroce. Quando siamo arrivati a Bor all’aeroporto vedemmo i primi cadaveri. C’erano 5mila cadaveri non seppelliti nella zona. Con le Nazioni Unite siamo andati alla cattedrale: tutti i preti erano stati uccisi e le loro mogli violentate e uccise. Era una situazione orribile. Tornando a casa io e mia moglie abbiamo sentito una profonda chiamata a vedere cosa potevamo fare per sostenere la gente del Sud Sudan. E da allora, in uno degli incontri regolari che ho avuto il privilegio di avere con Papa Francesco, abbiamo parlato molto del Sud Sudan e abbiamo sviluppato l’idea di un ritiro in Vaticano. Il mio team a Lambeth e il Vaticano hanno lavorato insieme. Hanno visitato il Sud Sudan nel 2016, hanno lavorato sul campo e con i leader per cercare di organizzare questa visita. Mia moglie ha lavorato con donne leader di comunità e mogli di vescovi. Abbiamo visitato gli esuli in Uganda. Nel 2018 è diventato chiaro che c’era possibilità per una visita all’inizio del 2019. È stato un miracolo che ci siamo riusciti,è stato un miracolo che sia avvenuto in Vaticano. Uno dei due vicepresidenti era a Khartoum agli arresti domiciliari. Ricordo che 36 ore prima in un parcheggio di una scuola a Nottingham ho parlato con il segretario generale delle Nazioni Unite al fine di rilasciargli un visto, cosa che ha fatto brillantemente, ed è è riuscito a partire poco prima che venisse chiuso lo spazio aereo per un colpo di Stato. Il momento cruciale della conferenza del 2019 è stata ovviamente l’indimenticabile gesto del Papa che si è inginocchiato e ha baciato i piedi dei leader per implorare la pace. È stato un momento estremamente importante. Abbiamo avuto discussioni dure, ma alla fine sono impegnato a rinnovare l’accordo di pace e penso che l’incontro con Papa Francesco sia stato il momento chiave, il punto di svolta. Ma come dice un allenatore, sei bravo fino alla prossima partita. E il Covid ha rinviato la partita successiva. Penso che il risultato sia stato la perdita dello slancio, avevano meno fiducia che nel 2019. Ma ho finito questa visita con un profondo senso di incoraggiamento, non tanto perché ci sia stata una svolta, ma perché c’è stato il sentimento, come ha detto il Papa, del cuore che parla al cuore. E c’è uno slancio nella base. Ora abbiamo bisogno di un serio cambiamento del cuore da parte della leadership. Devono concordare un processo che porti a una transizione pacifica. Lo abbiamo detto loro pubblicamente, ci deve essere un impegno anti-corruzione per contrastare l’enorme ammassamento di armi. Questo richiederà ulteriore lavoro insieme e con il Vaticano per far sì che questa porta aperta – che non è aperta quanto vorrei ma è aperta – per spalancarla e fare progressi. Tra due anni ci saranno le elezioni, abbiamo bisogno di progressi seri entro la fine del 2023.

GREENSHIELDS: La mia esperienza è molto diversa, questa è stata la mia prima volta in Sud Sudan, ma il mio predecessore ci è stato trovando situazioni vulnerabili. La riconciliazione è stata al centro dell’incontro che abbiamo avuto nel 2015. Come chiesa presbiteriana abbiamo aiutato rifugiati sud sudanesi. In questo viaggio, come detto, è stata detta la verità dal cuore. La situazione ora è chiara, le azioni parlano più delle parole. Il governo ci ha invitato a entrare nella stanza e noi ci siamo impegnati a fare tutto il possibile per fare la differenza in questa situazione: incontrare i nostri partner e ora chiediamo a coloro che possono fare la differenza di avviare urgentemente il processo.

Santo Padre, voi avete desiderato da tanto di visitare la Repubblica democratica del Congo. Quale importanza ha avuto l’Accordo firmato nel 2016 tra la Santa Sede e il Paese riguardo all’educazione e la sanità?

PAPA: La Segretaria di Stato può dare un’opinione. È materia della Segreteria di Stato, loro sono bravi a fare accordi per il bene di tutti. Io ho visto in Congo tanta voglia di andare avanti, tanta cultura. Prima di arrivare qui, alcuni mesi fa, ho avuto un incontro via zoom con universitari del Paese. Persone di un’intelligenza superiore. Avere giovani intelligenti è la vostra ricchezza. Si deve fare posto a loro, non chiudere le porte. Voi avete gente che viene a sfruttare il Congo per le tante ricchezze naturali che attirano. Purtroppo c’è quest’idea: l’Africa va sfruttata. Qualcuno dice che i Paesi che avevano colonie hanno dato l’indipendenza dal suolo in su, non sotto, dove vengono a cercare minerali. Ma l’idea che Africa è per sfruttare dobbiamo toglierla. E parlando di sfruttamento mi colpisce e mi dà dolore il problema dell’Est del Paese. Ho potuto avere una riunione con vittime di quella guerra: feriti, amputati, tanto dolore, tutto per prendere le ricchezze… Il Congo ha tante possibilità.

WELBY: Non conosco l’Est del Congo così bene, mia moglie ha lavorato con le donne. Nel 2018 ho fatto molti viaggi, anche subito prima del Covid, e concordo pienamente con quanto ha detto Sua Santità. Dobbiamo essere chiari, il Congo non è il parco giochi delle grandi potenze. Tutto per il ricavato delle piccole compagnie minerarie, che agiscono irresponsabilmente con miniere artigianali, l’uso di bambini soldato, rapimenti, stupri su larga scala. Stanno semplicemente depredando il Paese, che dovrebbe essere uno dei più ricchi sulla faccia della terra, capace di aiutare il resto dell’Africa. Il Paese è stato torturato, gli è stata data l’indipendenza politica tecnicamente, ma senza l’indipendenza economica. Durante l’epidemia di ebola, abbiamo formato i pastori a gestirla. La Chiesa fa un lavoro straordinario, la Chiesa cattolica fa un lavoro straordinario. Il progetto per i Grandi laghi è meraviglioso. Purtroppo però le grandi potenze devono dire: l’Africa e in particolare il Congo hanno tante di quelle risorse che servono al resto del mondo e se il resto del mondo vuole fare una transizione ecologica e salvare il pianeta dal cambiamento climatico, l’unico modo per farlo è cercare la pace del Congo e non la loro prosperità.

GREENSHIELDS: La mia esperienza nei Paesi in via di sviluppo è che per promuovere lo sviluppo vanno riconosciuti per primi i diritti delle donne e in particolare delle giovani donne.

Abbiamo visto come la violenza non cessi nonostante decenni di presenza di missioni ONU. Come potete voi, insieme, aiutare a promuovere un nuovo modello di intervento, vista la crescente tentazione di molte nazioni africane a scegliersi altri partner per garantirsi la sicurezza. Partners che potrebbero non rispettare la leggi internazionali, come alcune compagnie private russe o altre organizzazioni, come ad esempio nella regione del Sahel…

PAPA: Il tema della violenza è un tema quotidiano. Lo abbiamo appena visto in Sud Sudan. È doloroso vedere come si provoca la violenza: con la vendita delle armi. Anche l’arcivescovo Welby ha detto qualcosa su questo. La vendita delle armi: credo che nel mondo questa è la peste più grande. L’affare della vendita delle armi. Mi hanno detto che senza vendere armi per un anno finirebbe la fame nel mondo. Non so se è vero. Ma oggi al top è la vendita delle armi. E non solo tra le grandi potenze. Anche a questa povera gente… gli seminano la guerra dentro. È crudele. Gli dicono: “Vai alla guerra!”, e gli danno le armi. Perché dietro ci sono interessi economici per sfruttare la terra, i minerali, le ricchezze. È vero che il tribalismo in Africa non aiuta. Ci vuole dialogo fra le diverse tribù. Ricordo quando sono stato in Kenya nello stadio e tutti si sono alzati in piedi a dire no al tribalismo. Ognuno ha la propria storia, ci sono vecchie inimicizie, ma è anche vero che si provoca la lotta fra le tribù con la vendita delle armi e poi si sfrutta la guerra di ambedue le tribù. Questo è diabolico. Non mi viene un’altra parola. Questo è distruggere: distruggere il creato, distruggere la persona, distruggere la società. Bambini sono reclutati per fare parte della milizia e combattere con altri bambini. Riassumendo, credo che il problema più grave è l’ansia di prendere ricchezza di quel Paese – coltan, litio…– e tramite la guerra, per la quale vendono le armi, sfruttano anche i bambini.

WELBY: Lei ha detto le Nazioni Unite o altro, ma non è “o”, è “e”: quello che la Chiesa porta non è solo fornire reti che non sono corrotte, per cui gli aiuti arrivano nei Paesi e aiutano a superare le linee che dividono due parti in lotta. È il cambiamento del cuore, e questo è stato il punto di questa visita. Cento anni fa i popoli nuer e dinka erano sempre in guerra, era una cultura della vendetta, i nuer in particolare erano sempre in lite tra loro. La differenza non l’ha fatta il governo, ma dalle Chiese che hanno inciso sul cambiamento di cuore quando le persone hanno ricevuto la fede in Cristo e hanno realizzato che c’è un altro modo di vivere. Dopo questa visita non c’è solo tanto attivismo, ma anche la speranza che lo Spirito di Dio che porti nuovo spirito di riconciliazione e guarigione alla gente del Sud Sudan.

Fra due settimane ci sarà il primo anniversario di un altro conflitto terribile, quello in Ucraina. La mia domanda è: Lei sarebbe pronto a compiere lo stesso gesto compiuto con i leader del Sud Sudan nei confronti di Vladimir Putin se avesse la possibilità di incontrarlo, dato che i suoi appelli alla pace finora sono caduti nel vuoto? E a voi volevo chiedere se volete fare un appello congiunto per la pace in Ucraina.

PAPA: Sono aperto a incontrare entrambi i presidenti, quello dell’Ucraina e quello della Russia. Se non sono andato a Kiev è perché non era possibile in quel momento andare a Mosca. Ma ero in dialogo, anzi il secondo giorno della guerra sono andato all’ambasciata Russa a dire che volevo andare a Mosca a parlare con Putin, a patto che ci fosse una piccola finestra per negoziare. Il ministro Lavrov mi ha risposto che avrebbe valutato bene questo, ma più avanti. Il gesto dell’incontro 2019 per il Sud Sudan non so come è successo, è lo Spirito che ti porta lì, non si può spiegare, punto. È stato un servizio, sono stato strumento di qualche impulso interiore, non una cosa pianificata. Oggi siamo a questo punto. Ma quella dell’Ucraina non è l’unica guerra: da dodici-tredici anni la Siria è in guerra, da più di dieci anni lo Yemen è in guerra. Poi il Myanmar, alla povera gente Rohingya, che gira il mondo perché sono stati cacciati via dalla propria patria, in America Latina, quanti focolai di guerra ci sono! Sì, ci sono guerre più importanti per il rumore che fanno, ma tutto il mondo è in guerra, e in autodistruzione. Dobbiamo pensare seriamente: è in autodistruzione. Fermiamoci in tempo! Perché una bomba richiama una più grande e una ancora più e nell’escalation non sai dove finirai.

Sia Sua Eccellenza che Mons. Greenshields hanno parlato delle donne. Le ho viste nel Sud Sudan: portano avanti i figli, a volte sole, ma hanno la forza di creare un Paese. Gli uomini vanno alla guerra, e queste signore con due, tre, quatto, cinque bambini vanno avanti, le ho viste in Sud Sudan. E, parlando di donne, vorrei direi una parola alle suore. Le suore che si immischiano, nella Messa di oggi avete sentito il nome di tante suore che sono state uccise... Torniamo alla forza della donna, dobbiamo prenderla sul serio e non usarla come pubblicità del maquillage. Per favore, questo è un insulto alla donna, la donna è per le cose più grandi!

WELBY: Per quanto riguarda la Russia e l’Ucraina, dove sono stato alla fine di novembre e inizio dicembre, non ho nulla da aggiungere. Salvo che questa guerra è nelle mani del signor Putin, potrebbe fermarla con il ritiro e il cessate-il-fuoco e poi negoziati su accordi di lungo termine. È una guerra terribile e terrificante, ma voglio dire che sono d’accordo con Papa Francesco, ci sono molte altre guerre, parlo ogni settimana con il capo della nostra Chiesa in Myanmar. Ho parlato ai leader della nostra Chiesa in Nigeria, dove ieri sono state uccise 40 persone. Concordo totalmente con il Santo Padre, la guerra finisce con il coinvolgimento di donne e giovani, per le ragioni che egli ha detto.

Santo Padre, prima di partire per il suo viaggio apostolico lei ha denunciato la criminalizzazione dell’omosessualità. In Sud Sudan e in Congo non è accettata dalle famiglie. La mia domanda: cosa dice a quelle alle famiglie che ancora rifiutano i loro figli omosessuali e che cosa dice ai preti, ai vescovi?

PAPA: Su questo problema ho parlato in due viaggi: la prima volta tornando dal Brasile e dissi: se una persona di tendenza omossessuale è credente, cerca Dio, chi sono io per giudicarlo? La seconda volta tornando dall’Irlanda, è stato un viaggio un po’ problematico perché quel giorno era uscita la lettera di quel ragazzo… ma lì ho detto chiaramente ai genitori: i figli con questo orientamento hanno diritto di rimanere in casa, non potete cacciarli via. E poi ultimamente ho detto qualcosa nell’intervista alla Associated Press. La criminalizzazione dell’omosessualità è un problema da non lasciar passare. Cinquanta Paesi portano a questa criminalizzazione - e alcuni di questi hanno la pena di morte per gli omosessuali. Questo non è giusto, le persone di tendenze omosessuali sono figli di Dio, Dio gli vuole bene, Dio li accompagna. È vero che alcuni sono in questo stato per diverse situazioni non volute, ma condannare una persona così è peccato, criminalizzare le persone di tendenza omosessuale è una ingiustizia. Sto parlando delle persone, non delle lobby, queste sono un’altra cosa. Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che non vanno marginalizzati. Credo che la cosa su questo punto sia chiara.

WELBY: Non può esservi sfuggito che nella Chiesa d’Inghilterra parliamo di questo argomento, compreso il dibattito in Parlamento. Vorrei aver parlare con l’eleganza e la chiarezza che ha usato il Papa. Concordo interamente con ogni parola che ha detto. E per quanto riguarda la criminalizzazione: la Chiesa d’Inghilterra ha approvato due risoluzioni contro la criminalizzazione, ma ciò non ha davvero cambiato la mentalità di molte persone. Nei prossimi quattro giorni al sinodo generale sarà il tema principale della discussione e sicuramente citerò quel che ha detto meravigliosamente e accuratamente il Santo Padre.

GREENSHIELDS: Dico solo che nei quattro Vangeli non trovo altro che Gesù che esprime amore nei confronti di tutti gli esseri umani, e questo è quello che da cristiani possiamo dare a ogni essere umano in ogni circostanza.

Una domanda al Papa: si è parlato molto in questi ultimi giorni di unità, si è vista anche una dimostrazione di unità della Cristianità, in Sud Sudan, anche di unità della Chiesa Cattolica stessa, vorrei chiederle se lei sente che dopo la morte di Benedetto XVI è stato più difficile per lei il suo lavoro e la sua missione, perché si sono rafforzate le tensioni tra le diverse ali della Chiesa Cattolica?

PAPA FRANCESCO: Su questo punto, vorrei dire, che ho potuto parlare di tutto con Papa Benedetto. Anche cambiare opinione. Lui sempre era al mio fianco, appoggiando e se aveva qualche difficoltà, me la diceva e parlavamo. Non c’erano problemi. Una volta che io ho parlato del matrimonio delle persone omosessuali, del fatto che il matrimonio è un sacramento e che noi non possiamo fare un sacramento, ma che c’è una possibilità di assicurare i beni tramite la legge civile, che è cominciata in Francia… qualsiasi persona può fare una unione civile, non necessariamente di coppia. Le vecchiette che sono in pensione ad esempio… perché si possono guadagnare tante cose. Una persona che si crede un grande teologo, tramite un amico di Papa Benedetto, è andato da lui e ha fatto la denuncia contro di me. Benedetto non si è spaventato, ha chiamato quattro cardinali teologi di primo livello e ha detto: spiegatemi questo e loro lo hanno spiegato. E così è finita la storia. È un aneddoto per vedere come si muoveva Benedetto quando c’era una denuncia. Alcune storie che si dicono, che Benedetto era amareggiato per quello che ha fatto il nuovo Papa, sono storie da “telefono senza fili” (il Papa usa per significarlo l’espressione “storie cinesi”, ndr.). Benedetto anzi io l’ho consultato per alcune decisioni da prendere. E lui era d’accordo. Era d’accordo. Credo che la morte di Benedetto sia stata strumentalizzata da gente che vuole portare acqua al proprio mulino. E quelli che strumentalizzano una persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa, direi che è gente non etica, è gente di partito non di Chiesa… si vede in ogni parte, la tendenza a fare di posizioni teologiche dei partiti. Queste cose cadranno da sole, o se non cadranno andranno avanti come tante volte è accaduto nella storia della Chiesa. Ho voluto dire chiaramente chi era papa Benedetto, non era un amareggiato.

Santo Padre, in quali altri luoghi ha in mente di andare? Sente di avere una condizione di salute necessaria per andare in tutti questi posti?

PAPA FRANCESCO: Credo che l’India sarà il prossimo anno. Il 23 settembre vado a Marsiglia, e c’è la possibilità che da Marsiglia voli in Mongolia, non è ancora definito, ma è possibile. Altro viaggio previsto in questo anno è Lisbona. Ho scelto di visitare i paesi più piccoli dell’Europa, per conoscere un po’ l’Europa nascosta, che ha tanta cultura ma non è conosciuta. E per accompagnarli, per esempio l’Albania, che è stato il primo ed ha sofferto una dittatura crudele. Riguardo alla salute: tu sai che erba cattiva muore mai. Non è come all’inizio del pontificato, questo ginocchio dà fastidio, ma va avanti lentamente, poi vediamo.

Voi vi unireste per un altro viaggio con il Papa?

WELBY: Sicuramente questa è la migliore linea aerea con cui io abbia viaggiato! Scherzi a parte, ne sarei felice, se il Santo Padre sentisse che nel futuro noi possiamo aggiungere valore. È sempre un enorme privilegio essere con lui e un aiuto a lui.

GREENSHIELDS: Ne sarei felice, l’unico limite è che il mio mandato scade il 20 maggio e mi succederà una donna, molto capace, e sono sicuro che sarebbe felice di fare lo stesso.

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