
Papa Leone XIV passa tra i fedeli presenti all'udienza generale - Reuters
«Non dobbiamo abituarci alla guerra». È un nuovo forte appello quello che papa Leone XIV lancia al termine dell’udienza generale di questa mattina in piazza San Pietro. «Il cuore della Chiesa è straziato dal grido che si leva dai luoghi della guerra», dice il Papa citando Ucraina, Iran, Israele e Gaza. Non solo un appello alla pace, ma anche la sottolineatura che «bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati. In realtà poiché in queste guerre si fa uso di armi scientifiche, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti a una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati». E allora Leone XIV fa sue due frasi pronunciate da due suoi predecessori contro la guerra. «In nome della dignità umana e del diritto internazionale ripeto ai responsabili ciò che soleva dire loro papa Francesco “la guerra è sempre una sconfitta”. E Pio XII diceva “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra». Le parole del Papa sono accompagnate da un lungo e intenso applauso dei 40mila fedeli e pellegrini presenti in piazza.
Non restare prigionieri della rassegnazione
A loro poco prima, il Papa aveva detto di «non restare prigionieri della propria rassegnazione, ma prendere la propria vita tra le mani. È il filo rosso della meditazione svolta da Leone XIV. Proseguendo il ciclo catechetico di “Gesù Cristo nostra speranza”, tema legato all’Anno Santo che stiamo vivendo, il Pontefice ha concentrato la riflessione sull’episodio del paralitico guarito da Gesù, di cui si parla nel capitolo 5 del Vangelo di Giovanni.
L’episodio di svolge alle porte del Tempio vicino alla piscina di Betzatà (che significa “Casa della misericordia”), le cui acque venivano considerate miracolose e capaci di guarire, soprattutto quando le acque si agitavano. In quel momento la guarigione era possibile per il primo che si immergeva. Ecco Gesù prima di entrare nel Tempio avvicina alcuni malati, in particolare un uomo paralitico da ben 38 anni. L’atteggiamento di quest’ultimo è molto simile a quello che ciascuno di noi può provare nella propria vita: «a volte ci sembra, infatti, che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare» dice Il Papa, sottolineando come quel paralitico vivesse proprio uno stato di scoraggiamento, di non voglia di lottare. «Gesù rivolge a questo paralitico una domanda che può sembrare superflua: «Vuoi guarire?» È invece una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo».
L’uomo prima risponde che la colpa è degli altri che non lo aiutano a entrare per primo nella piscina miracolosa, ma, ricorda il Papa, «questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità». Ma il paralitico aggiunge anche che c’è sempre qualcuno che si immerge prima di lui, e in questa sottolineatura «quell’uomo sta esprimendo una visione fatalistica della vita. Pensiamo che le cose ci capitano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso. Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita».
Ed ecco che in questa situazione interviene Gesù che «lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella. Quel lettuccio non va lasciato o buttato via: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacere come un morto. Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù», sottolinea Leone XIV.
Alla luce di questo episodio evangelico, il Papa invita a chiedere al Signore «il dono di capire dove la nostra vita si è bloccata. Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita. Chiediamo di tornare ad abitare nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia».
Il saluto ai fedeli di lingua italiana
A conclusione della catechesi. Come di consueto il Papa si è rivolto ai pellegrini dei diversi gruppi linguistici. A quelli in lingua inglese e in lingua spagnola, si è rivolto ai fedeli senza bisogno di traduzione. Salutando i pellegrini di lingua italiana, ha rivolto un particolare ricordo ai «fedeli della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, accompagnati dal loro vescovo: cari amici, auguro che la visita alle tombe degli Apostoli offra a ciascuno l’opportunità di una forte esperienza di fede per essere apostoli del Vangelo nel vostro territorio. Saluto, inoltre, i sacerdoti di Ferrara-Comacchio e di Brescia, incoraggiandoli a consolidare generosi propositi di fedeltà alla chiamata del Signore. Accolgo con affetto le parrocchie: Santi Pietro e Paolo in Montelupone, Santi Crisante e Daria, e Santa Maria causa nostrae laetitiae in Roma. Saluto anche l’Associazione nazionale consulenti del lavoro».