«Il mio vescovo, uomo buono, finalmente torna a casa»
Le spoglie di monsignor Giovanni Gazza, missionario saveriano e vescovo di Aversa, in Campania 27 anni dopo la sua morte. Il ricordo di un prete che gli ha voluto bene

Il cuore in subbuglio. Ancora poche ore e sarei diventato sacerdote. Tutto era pronto quando il telefono squillò. Non era la solita telefonata di auguri di un parente lontano. Era, purtroppo, il mio vescovo che avrebbe dovuto accompagnarmi in chiesa per l’ordinazione. «Maurizio, perdonami, ma non posso venire. Non ce la faccio, non mi sento bene. Stai tranquillo, però, ho chiesto a Monsignor Lugi Diligenza, vescovo di Capua, di sostituirmi. Sarà lui a ordinarti sacerdote. Io ti accompagno con la mia preghiera. Ti benedico. Fatti vedere, però, appena puoi…». Ci rimasi malissimo. Non era, per me, la stessa cosa. Era stato lui, Giovanni Gazza, ad accogliermi in seminario, lui a seguirmi negli studi teologici, lui a spronarmi e consigliarmi, sempre lui a ordinarmi diacono. Un’ombra di tristezza scese su quella giornata memorabile. Solamente dopo, compresi che stava affrontando i primi sintomi del cancro che lo porterà alla morte.
A Giovanni Gazza volevamo bene tutti. Era un uomo buono, misericordioso, ma, soprattutto, umile. Credo, senza temere smentita, che la malizia, la furbizia, la scaltrezza, la doppiezza non trovassero in lui nemmeno un remoto angolino in cui rifugiarsi. Missionario saveriano, era stato tanti anni in giro per il mondo. L’essere catapultato ad Aversa, nel Casertano, fu per lui una sfida non facile da affrontare. Accolse il mandato come volontà di Dio. Figlio unico, portò con sé la vecchia mamma che proprio ad Aversa si spense qualche anno dopo. Era arrivato nella nostra Diocesi all’indomani del terribile terremoto del 23 novembre 1980. Tante le chiese e i conventi disastrati; tante le anime lacerate da lutti e disperazione. Fu accolto con entusiasmo e immensa speranza. Un uomo mite, disinteressato, nessuno ebbe mai modo di vederlo arrabbiato o sfiduciato. “Respice stellam” era il motto episcopale, all’insegna del quale si pose a servizio del nostro popolo. San Bernardo: «Respice stellam, voca Mariam».
Nelle tempeste, negli affanni della vita, nei momenti in cui senti di essere debole e fragile, guarda la Stella, invoca Maria. Pochi anni dopo, il caro vescovo Gazza, presentò le dimissioni per gravi motivi di salute. Piangemmo. Tra i preti e il proprio vescovo si crea un legame particolare. Il vescovo è padre, amico, fratello, guida. Compagno nel cammino della vita, della vocazione, del servizio alla Chiesa particolare e universale. Sulla spalla del proprio vescovo si va a piangere quando arriva la calunnia, la menzogna, il disinteresse di coloro che avrebbero dovuto sostenerti. Nel suo cuore, i preti in particolare, ma tutto il popolo di Dio, depongono le loro ansie, le paure, gli scoraggiamenti, le sconfitte cui vanno incontro. Parlava a bassa voce, Gazza. Rese la sua bella anima a Dio, a Parma, pochi anni dopo averci detto addio. Fu sepolto nella cappella dei Padri Saveriani. I preti di Aversa, però, non si rassegnavano. Lo volevano tra loro.
Da tante parti arrivavano a monsignor Angelo Spinillo, suo successore, richieste e preghiere per riportarne i resti nella nostra antica e bella cattedrale normanna. Dopo 27 anni, finalmente, il nostro Giovanni Gazza ha fatto ritorno nella diocesi che ha tanto amato e servito. Sabato, 6 dicembre, durante la Messa di suffragio, monsignor Spinillo, tra l’altro, ha detto: «Non è stato lui a chiedere di essere riportato ad Aversa. Era un missionario, uno spirito libero. Siamo stati noi a volerlo qua». È vero, siamo stati noi. Perché forte era il bisogno di dirgli grazie. Forte il sentimento di riconoscenza verso questo Successore degli Apostoli, davvero degno di questo nome. Siamo stati noi, clero più anziano, e giovani preti e seminaristi che non ebbero modo di conoscerlo personalmente, ma hanno raccolto dai loro parroci la testimonianza evangelica di un missionario autentico. Essere riconoscenti. Imparare a dire “grazie”. Richiamare alla memoria il bene ricevuto, le persone belle conosciute. Tutto questo ci permette di vivere più sereni e di essere testimoni autentici del Vangelo di Cristo verso le nuove generazioni. Grazie, caro padre Giovanni.
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