Gesù nel deserto
Nella settima meditazione degli Esercizi spirituali ad Ariccia per il Papa e la Curia Romana, come riporta la Radio Vaticana, mercoledì pomeriggio don José Tolentino Mendonça ricorda che proprio la nostra povertà è il luogo dove Gesù interviene e che il più grande ostacolo alla vita di Dio dentro di noi non è la fragilità, ma la rigidità e l’autosufficienza. Bisogna quindi imparare a bere dalla propria sete. Il sacerdote portoghese prosegue dunque la sua riflessione sulla sete associandola alla Passione di Gesù.
La strada ci insegna più della locanda
La Chiesa non deve isolarsi in una torre d’avorio, non deve riprodurre pratiche e comportamenti, diventando custode del sacro ma essere anche discepola, in qualche modo è un’esperienza di nomadismo. Quindi, anche i non credenti possono guardare con una freschezza sorprendente alla vita di fede. C’è poi il rischio di far fare agli altri, cammini anche esigenti mentre noi rimaniamo seduti. Bisogna stare attenti che la sedentarietà non diventi anche spirituale, un’atrofia interiore.
Vedere nella sete una forma di cammino
Bisogna, poi, vivere la spiritualità come un’avventura comunitaria, metteva in evidenza Gustavo Gutiérrez nel libro “Bere dal proprio pozzo. L’itinerario spirituale di un popolo”. Il pozzo da cui bere è quindi la vita spirituale concreta, ferita da contingenze e ristrettezze:
L'umanità che noi fatichiamo ad abbracciare, la nostra stessa e quella degli altri, è l'umanità che Gesù abbraccia veramente, poiché egli si china con amore sulla nostra realtà, non sulla idealizzazione di noi stessi che ci andiamo costruendo. Il mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio, insomma, comporta per noi una visione non ideologica della vita.
Perdere la mania di una vita perfetta
La sete, in certo senso, ci umanizza e costituisce una via di "maturazione spirituale". Quindi facendo un’analisi esistenziale, don José ricorda che serve tanto tempo per perdere la mania delle cose perfette, per vincere il vizio di sovrapporre alla realtà le false immagini. Come scrive Thomas Merton, Cristo ha voluto identificarsi con ciò che non amiamo di noi stessi poiché prese su di sé la nostra miseria e la nostra sofferenza. San Paolo stesso testimonia la fede come un’ipotesi paradossale: "quando sono debole, allora sono forte".
Il grande ostacolo alla vita di Dio dentro di noi non è la fragilità o la debolezza, ma la durezza e la rigidità. Non è la vulnerabilità e l'umiliazione, ma il suo contrario: l'orgoglio, l'autosufficienza, l'autogiustificazione, l'isolamento, la violenza, il delirio di potere. La forza di cui abbiamo davvero bisogno, la grazia di cui necessitiamo, non è nostra, ma di Cristo.
Le tre tentazioni nel deserto
“Se ci disponiamo all’ascolto, la sete può essere un maestro prezioso della vita interiore”, afferma il predicatore portoghese, soffermandosi, poi, sull’episodio delle tre tentazioni di Gesù nel deserto. La prima quella sul pane. Gesù conosce le necessità materiali umane, ma ricorda che non di solo pane vive l’uomo. La sua risposta non è per farci evadere dalla realtà, ma per farcela considerare come un luogo che deve essere investito dallo Spirito. Per far comprendere la seconda tentazione, il sacerdote si rifà invece a quando il popolo di Israele nel deserto esige da Mosè che gli dia da bere: per credere, noi vogliamo vedere la nostra sete soddisfatta, ma Gesù "ci insegna a consegnare il silenzio, l’abbandono e la sete come preghiera". Infine l’ultima tentazione sugli idoli alla quale Gesù risponde: “Il Signore Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. Un brano da accostare al Vangelo di Matteo quando Gesù risorto ricorda che a lui è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Il “potere” di Gesù è l’offerta estrema di sé
Il diavolo vuole essere adorato, afferma ancora don José, ma il suo potere è apparenza, mentre quello del Risorto fa parte del mistero della Croce, dell’offerta estrema di sé. E’ un rischio enorme – prosegue – quando la tentazione del potere, su scala più o meno grande, ci allontana dal mistero della Croce, quando ci allontana dal servizio dei fratelli. Gesù insegna, invece, a non lasciarsi schiavizzare da nessuno e a non fare nessuno schiavo ma a rendere culto solo a Dio e a servire: “noi - conclude - non siamo padroni , siamo pastori”.