mercoledì 26 settembre 2018
Dopo la firma dell'accordo, Francesco scrive ai cattolici in Cina e alla Chiesa universale esprimendo le ragioni, il valore e le finalità della storica intesa
Papa Francesco (Ansa)

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Dopo la firma dell’accordo un messaggio. L’ha diffuso oggi la Sala Stampa vaticana. È diretto ai cattolici in Cina e alla Chiesa universale. A scriverlo è il Papa: «Vorrei farvi sapere che, da quando mi è stato affidato il ministero petrino, ho provato grande consolazione nel constatare il sincero desiderio dei cattolici cinesi di vivere la propria fede in piena comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro, il quale è “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi che della moltitudine dei fedeli”».

Con queste parole, che non lasciano in ombra la missione di Pietro descritta nella Lumen Gentium, papa Francesco ha voluto rivolgere direttamente la sua voce ai cattolici in Cina volendo esprimere le ragioni, il valore e le finalità della storica intesa siglata sabato scorso tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese sulle nomine dei vescovi. Un inedito vis-a-vis con i cattolici del “Regno di Mezzo” in undici punti, che, insieme ad alcune riflessioni, offre una precisa «indicazione pastorale per il cammino» che in questa nuova fase della Chiesa in Cina «tutti siamo chiamati a percorrere». Una lettera aperta, anche questa destinata a lasciare un’impronta indelebile, dopo quella di papa Benedetto XVI del 2007. Un tracciato essenziale di carattere pastorale, per rendere chiaro il «solco nel quale si colloca l’accordo provvisorio» come strumento e per invitare i cristiani a guardare avanti, sanando le ferite delle divisioni del passato attraverso le vie della «riconciliazione e della comunione».

Nel solco di un lungo dialogo

Nel messaggio papa Francesco mette in chiaro per primo come il solco da dove scaturisce l’accordo provvisorio Santa Sede-Cina sia quello di un lungo dialogo: «È frutto del lungo e complesso dialogo istituzionale della Santa Sede con le Autorità governative cinesi, inaugurato già da San Giovanni Paolo II e proseguito da Papa Benedetto XVI». Poi le finalità di questo percorso, che altro non sono se non sono quelle spirituali e pastorali proprie della Chiesa: «Attraverso tale percorso – spiega Francesco – la Santa Sede altro non aveva, e non ha, in animo se non di realizzare le finalità spirituali e pastorali proprie della Chiesa, e cioè sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo, e raggiungere e conservare la piena e visibile unità della Comunità cattolica in Cina». E come dunque tutto questo, per il Papa, potrà continuare ad «essere autentico e fecondo solo se avviene attraverso la pratica del dialogo», il che significa «conoscersi, rispettarsi e “camminare insieme” per costruire un futuro comune di più alta armonia». Papa Francesco non nasconde il desiderio, attraverso questo messaggio, di assicurare i cattolici in Cina che essi sono «quotidianamente presenti» nella sua preghiera, perché si dimostra consapevole delle «tante voci contrastanti sul presente e, soprattutto, sull’avvenire delle comunità cattoliche in Cina», del «turbinio di opinioni e di considerazioni» che hanno creato «non poca confusione» e «suscitato in molti sentimenti opposti» a seguito della firma dell’accordo provvisorio.

Ricostituire la piena unità

Quanto alle riflessioni sul valore di tale accordo e sulle sue finalità, riprendendo la Lettera ai Cattolici cinesi del 27 maggio 2007 di Benedetto XVI e citando la costituzione Gaudium et spes, il Papa afferma come «per la Chiesa, dentro e fuori della Cina, non si tratta solo di aderire a valori umani, bensì di rispondere ad una vocazione spirituale: uscire da se stessa per abbracciare le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono. È pertanto – quindi – una chiamata ecclesiale a farsi pellegrini sui sentieri della storia, fidandosi innanzitutto di Dio e delle Sue promesse, come fecero Abramo ed i nostri Padri nella fede».

Un’indicazione precisa a quanti pensano che invece per annunciare il Vangelo in Cina nel presente debbano prima risolversi le condizioni sociali e politiche. «Se Abramo avesse preteso condizioni, sociali e politiche, ideali prima di uscire dalla sua terra – spiega Francesco – forse non sarebbe mai partito. Egli, invece, si è fidato di Dio, e sulla Sua Parola ha lasciato la propria casa e le proprie sicurezze. Non furono dunque i cambiamenti storici a permettergli di confidare in Dio, ma fu la sua fede pura a provocare un cambiamento nella storia». E «come Successore di Pietro – dice – desidero confermarvi in questa fede, nella fede di Abramo, nella fede della Vergine Maria, nella fede che avete ricevuto, invitandovi a porre con sempre maggiore convinzione la vostra fiducia nel Signore della storia e nel discernimento della Sua volontà compiuto dalla Chiesa».

Il Vescovo di Roma afferma inoltre che proprio al fine di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in Cina e di ricostituire la piena e visibile unità nella Chiesa, era fondamentale affrontare, in primo luogo, la questione delle nomine episcopali.

La questione prioritaria delle nomine vescovili

A tutti noto che, purtroppo – afferma il Papa – la storia recente della Chiesa cattolica in Cina è stata dolorosamente segnata da profonde tensioni, ferite e divisioni, che si sono polarizzate soprattutto intorno alla figura del vescovo quale custode dell'autenticità della fede e garante della comunione ecclesiale. Quando nel passato «si è preteso di determinare anche la vita interna delle comunità cattoliche, imponendo il proprio controllo diretto al di là delle legittime competenze dello Stato, nella Chiesa in Cina è comparso il fenomeno della clandestinità». Una tale esperienza – sottolinea il Papa – non rientra nella normalità e nella vita della Chiesa e «la storia mostra che pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede».

«Di tale desiderio – continua Francesco – mi sono giunti nel corso di questi anni numerosi segni e testimonianze concreti, anche da parte di coloro, compresi vescovi, che hanno ferito la comunione nella Chiesa, a causa di debolezza e di errori, ma anche, non poche volte, per forte ed indebita pressione esterna». Il Papa fa perciò presente che dopo aver attentamente esaminato ogni singola situazione personale ed ascoltato diversi pareri «ha riflettuto e pregato molto cercando il vero bene della Chiesa in Cina». E che infine, «davanti al Signore e con serenità di giudizio, in continuità con l’orientamento dei miei immediati Predecessori», ha deciso «di concedere la riconciliazione ai rimanenti sette vescovi “ufficiali" ordinati senza mandato pontificio avendo rimosso ogni relativa sanzione economica, di riammetterli nella piena comunione ecclesiale».

Artefici di riconciliazione e comunione

«Invito tutti i cattolici cinesi a farsi artefici di riconciliazione, ricordando con sempre rinnovata passione apostolica le parole di Paolo: “Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione”». E ribadisce perciò che «non c’è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna da Lui riconoscendo di avere sbagliato, ma deciso a ricominciare da capo. Anche nei casi più complessi si deve credere nella forza che scaturisce dalla grazia divina». Perché «la Chiesa – ricorda – esiste per testimoniare Gesù Cristo e l'Amore perdonante e salvifico del Padre».

Sul piano pastorale: «La comunità cattolica in Cina è chiamata ad essere unita, per superare le divisioni del passato che tante sofferenze hanno causato e causano al cuore di molti Pastori e fedeli». Tutti i cristiani, senza distinzione «pongano ora gesti di riconciliazione e di comunione».

Sul piano civile e politico: «I cattolici cinesi siano buoni cittadini, amino pienamente la loro Patria e servano il proprio Paese con impegno ed onestà, secondo le proprie capacità».

Sul piano etico: «Siano consapevoli che molti concittadini si attendono da loro una misura più alta nel servizio al bene comune e allo sviluppo armonioso dell’intera società».

Per una pagina nuova della Chiesa in Cina

L’accordo provvisorio siglato con le autorità cinesi, pur limitandosi ad alcuni aspetti della vita della Chiesa ed essendo necessariamente perfettibile, può contribuire, per la sua parte, a scrivere questa pagina nuova della Chiesa cattolica in Cina. Per la prima volta – sottolinea il Papa – introduce elementi stabili di collaborazione tra le autorità dello Stato cinese e la Sede Apostolica, con la speranza di assicurare alla comunità cattolica buoni pastori. In questo contesto, la Santa Sede intende fare sino in fondo la parte che le compete, «ma anche a voi – afferma il Papa – vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, spetta un ruolo importante: cercare insieme buoni candidati che siano in grado di assumere nella Chiesa il delicato ed importante servizio episcopale». Non si tratta, infatti, di nominare «funzionari per la gestione delle questioni religiose, ma di avere autentici pastori secondo il cuore di Gesù, impegnati a operare generosamente al servizio del Popolo di Dio».

Gli attuali contatti tra la Santa Sede e il Governo cinese – afferma – si stanno dimostrando utili per superare le contrapposizioni del passato, anche recente, e per scrivere una pagina di più serena e concreta collaborazione nel comune convincimento che «l’incomprensione non giova né alle autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina».

Un accordo come strumento

Appare evidente che un accordo – afferma il Papa nella lettera – non è altro che uno strumento e non potrà da solo risolvere tutti i problemi esistenti. Anzi, esso risulterebbe inefficace e sterile, qualora non fosse accompagnato da un profondo impegno di rinnovamento degli atteggiamenti personali e dei comportamenti ecclesiali.

Ricorda di vivere la carità pastorale «come la bussola del ministero». E invita a «superare le contrapposizioni del passato, la ricerca dell’affermazione di interessi personali e di prendersi cura dei fedeli», a impegnarsi «umilmente per la riconciliazione e l’unità» riprendendo il cammino dell'evangelizzazione, così come indicato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, chiedendo la grazia e il coraggio apostolico di «comunicare il Vangelo agli altri e di rinunciare a fare della nostra vita un museo di ricordi».Ai giovani cattolici cinesi chiede di collaborare alla costruzione del futuro. E per un cammino verso la riconciliazione e la pace è necessario, per il Papa, anche «accompagnare con una fervente preghiera e con fraterna amicizia i nostri fratelli e sorelle in Cina» perché «non sono soli». È necessario che vengano accolti e sostenuti come parte viva della Chiesa da parte di ogni comunità cattolica locale, in tutto il mondo.

Un nuovo stile per un futuro di fraternità

Se la Santa Sede fa la sua parte, in Cina è però di fondamentale importanza per il Papa che anche a livello locale, siano sempre più proficui i rapporti tra i responsabili delle comunità ecclesiali e le autorità civili, attraverso «un dialogo franco e un ascolto senza pregiudizi che permetta di superare reciproci atteggiamenti di ostilità». Soprattutto «c’è da imparare un nuovo stile di collaborazione semplice e quotidiana tra le autorità locali e quelle ecclesiastiche – vescovi, sacerdoti, anziani delle comunità – in maniera tale da garantire 1’ordinato svolgimento delle attività pastorali, in armonia tra le legittime attese dei fedeli e le decisioni che competono alle autorità».

«In questo spirito e con le decisioni prese – conclude papa Francesco – possiamo dare inizio ad un percorso inedito, che speriamo aiuterà a sanare le ferite del passato, a ristabilire la piena comunione di tutti i cattolici cinesi e ad aprire una fase di più fraterna collaborazione, per assumere con rinnovato impegno la missione dell’annuncio del Vangelo».

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