venerdì 23 febbraio 2018
La periferia è nel Dna cristiano ed è un orizzonte nel quale la Chiesa deve riscoprirsi
Nona meditazione: ascoltare la sete delle periferie
COMMENTA E CONDIVIDI

“Dov’è nostro fratello?”. A partire dalla domanda di Dio nella Genesi scaturisce la nona meditazione degli esercizi spirituali per il Papa e i collaboratori della Curia Romana, in corso ad Ariccia, dedicata ad “ascoltare la sete delle periferie”.

Ne dà notizia Vatican News

L’invito di don Josè Tolentino Mendonça, vicerettore dell’Università Cattolica di Lisbona, è quello di “guardare ad occhi ben aperti la realtà del mondo che ci sta intorno” e di cercare nostro fratello tra i poveri e gli ultimi del mondo, non separando la “sete spirituale” dalla “sete letterale”. Uno dei criteri per capire cos’è “centro” e cosa è “periferia” nel mondo, è infatti proprio l’accesso all’acqua, diritto inalienabile della persona. Come già affermato nella Laudato Si’ e ribadito dai dati delle organizzazioni internazionali, oltre 2 miliardi di esseri umani non hanno la possibilità di fruire di acqua potabile. Una moltitudine letteralmente assetata, davanti alla quale si “rende urgente adottare un’autentica conversione degli stili di vita e di cuore”, “che vada in direzione contraria alla cultura dello spreco e della diseguaglianza sociale”. Dove i Paesi ricchi sperperano le loro risorse, infatti “gli altri vivono nel supplizio”.

Gesù è “un uomo periferico”

In questo contesto “la Chiesa non deve aver paura di essere profetica e di mettere il dito nella piaga” e non può che confrontarsi con le periferie del mondo. “Un discepolo di Gesù deve saperlo convintamente”, innanzitutto perché “Gesù stesso è un uomo periferico”. Non era cittadino romano, né faceva parte della élite giudaica, è nato nella periferia della Giudea, a sua volta periferia di Israele e dell’impero. E alle periferie si rivolge, dando dignità ad ammalati, ossessi, poveri, stranieri e peccatori.

La periferia è nel Dna cristiano, lo avvicina al suo contesto originario, ma anche al suo programma. E’ una chiave indispensabile per la sua ermeneutica spirituale ed esistenziale. In tutte le epoche rimarrà, per l’esperienza cristiana, il luogo privilegiato dove incontrare e reincontrare Gesù.

Nelle periferie la vitalità del progetto cristiano

Il cristianesimo stesso è poi per sua natura una “realtà periferica”. Lo si può vedere in concreto, dove i centri delle città sono divenuti “un polo di attività burocratiche e commerciali” e “una vetrina del passato” per i turisti, mentre “la vitalità del progetto cristiano si gioca nelle periferie”, “dove spesso non c’è neppure la presenza di una chiesa in muratura e dove tutto è più precario, rarefatto o appena abbozzato”. Per la Chiesa la periferia è quindi un orizzonte e non un problema ed è dove può uscire da se stessa e riscoprirsi.

La scelta dell’incontro con le periferie non è unicamente un imperativo della carità, è una mobilitazione storica e geografica che consente l’incontro con ciò che il cristianesimo è stato e con ciò che esso è. Anche le periferie della Chiesa hanno sete: di essere ascoltate.

Come avvertiva San Giovanni Crisostomo, la Chiesa deve evitare il “terribile scisma” tra “quello che separa il sacramento dell’altare, dal sacramento del fratello, quello che pericolosamente allontana il sacramento dell’eucarestia dal sacramento del povero.


Periferie come luoghi dell’anima

Le periferie esistenziali tuttavia non sono solo economiche, conclude don Mendonça, e sappiamo tutti come tra noi e chi sta al nostro fianco ci siano spesso distanze infinite da abbracciare e sconfiggere”. Per questo l’umanità va abbracciata e anche se non riusciamo a impedire le lacrime sul volto del prossimo, possiamo porgergli un fazzoletto e dirgli “sono qui”, “non sei solo”. Le periferie, infatti, “non sono solo luoghi fisici, sono anche punti interni della nostra esistenza, sono luoghi dell’anima che hanno bisogno di essere pascolati”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: