Voto polacco e leggi per l’aborto
venerdì 20 ottobre 2023

Nello Stato di diritto la Ivg non sia un traguardo obbligato Tutela dello Stato di diritto e leggi su argomenti “eticamente sensibili” come quello dell’interruzione di gravidanza. Di recente, l’accostamento dei due problemi è venuto particolarmente in evidenza in Polonia, condizionando non poco valutazioni e orientamenti di fondo anche da parte dei cittadini chiamati alle elezioni. Ed è probabile che, dopo il ribaltamento del panorama parlamentare e governativo verificatosi, tutto ciò continuerà a contare in quel Paese, ma in senso diverso da come le cose sono andate finora, benché sia azzardato fare previsioni unilaterali sull’esito del confronto che in tema di aborto si annuncia all’interno stesso della nuova maggioranza.

A ben guardare, però, ci si accorge che in proposito sono in gioco questioni di metodo e di valori che travalicano i confini. In effetti, è stata una scelta profondamente inquinante, da qualunque punto di vista la si giudichi nell’ambito di una democrazia, quella dei più recenti governi polacchi (ma le cose non sono andate e non stanno tuttora andando molto diversamente in Ungheria). Lì, infatti, non si è esitato a saldare e a presidiare alcuni interventi sulla legislazione riguardante l’interruzione di gravidanza con autentici e inquietanti attentati a pilastri più basilari dello Stato di diritto. - libertà e pluralità delle fonti d’informazione e indipendenza della magistratura - fino a realizzare operazioni che hanno trasformato la Corte costituzionale da organo di garanzia a qualcosa di poco diverso di un portavoce dell’Esecutivo. Tutto ciò sta producendo fortissime tensioni con l’Unione europea, ma vale la pena non fermarsi a questo solo aspetto, già messo in evidenza e pur non a torto dalla più gran parte dei media nostrani. È, piuttosto, da sottolineare proprio la distorsione che, se ci si avvia per strade come quelle, si consuma, altresì, proprio a danno di un corretto approccio a questioni come quella dell’aborto, che toccano profondamente il rapporto tra etica e politica, tra leggi e costume, tra coscienza individuale e coscienza collettiva.

Ne viene infatti rafforzata una tendenza frontista, nel senso peggiore della parola, a un muro contro muro che da noi non è (o non è ancora) giunto a livelli di altrettanta altezza, ma già si pasce di capziose mistificazioni e di grossolane strumentalizzazioni: le prime, che inducono ad equiparare tout court a lesioni di un “diritto” all’aborto, che ormai si tende a inserire nel nucleo più essenziale dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ogni misura legislativa od operativa mirante a offrire sostegni e alternative a donne nel dubbio sulla scelta di interrompere una gravidanza; le seconde, messe in campo da quanti mescolano un asserito attaccamento al diritto alla vita con battaglie, su problemi come quelli dell’immigrazione e della gestione dell’accoglienza, che ne sono fragranti smentite, associate, a loro volta, a lesioni dei princìpi dello Stato di diritto, attuate con regole e pratiche discriminatoriamente xenofobe e con campagne intimidatorie ai magistrati dissenzienti.

Ma è proprio inevitabile la rinuncia all’affermarsi, prima ancora nella società che nella legge, dell’impegno a favorire una pur difficile armonizzazione tra diritti e libertà? Senza abusare contro le donne intenzionate ad abortire, già vittime esse stesse di una scelta oggettivamente sempre tragica, dell’arma dell’inderogabile minaccia penale, che nessuno può pensare seriamente di restaurare, ma neppure di quella più sottile del marchio della squalificazione sociale. Ma anche senza fare dell’interruzione della gravidanza, in nome di un’ideologia, un traguardo da imporre o suggerire psicologicamente come obbligato.

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