venerdì 13 ottobre 2023
Gli incentivi monetari non sembrano funzionare nel modificare i tassi di fertilità. Tempo di guardare ad altre soluzioni
Idee audaci contro la denatalità

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Nell'affrontare la sfida della denatalità e della decrescita demografica, spesso ci pervade un senso di impotenza. Gli studiosi delle popolazioni ci insegnano che la demografia è un processo lento ma con una prepotente forza inerziale: una volta messo in moto un trend demografico, esso è difficilmente reversibile. Oggi assistiamo ad un trend di denatalità che interessa sostanzialmente tutte le nazioni sviluppate e se guardiamo ai tassi di fertilità le differenze tra le nazioni come Francia e Svezia che si sono più date da fare per implementare politiche familiari all’altezza della sfida (tassi di fertilità rispettivamente di 1,86 ed 1,66) ed i Paesi che sono colpevolmente in ritardo su questo fronte come è certamente l’Italia (tasso fermo all’1,24), si limitano a pochi punti decimali (sufficienti comunque a passare da un declino gentile ad un precipizio). Senza considerare il caso estremo di Singapore che, nonostante disponga delle politiche nataliste più generose di tutta l’Asia, è fermo ad un tasso di fertilità pari a 1,1.

Le vie tradizionali delle politiche familiari che in un modo o nell’altro ruotano attorno a trasferimenti in denaro (detrazioni fiscali, assegni familiari) o in fornitura diretta di beni e servizi (asili nido gratuiti, congedi parentali) sembrano inefficaci. Forse è giunto il tempo di individuare politiche più audaci, che non si limitino a rendere meno costosa la scelta di avere figli, ma siano piuttosto riforme strutturali volte a modificare gli assetti istituzionali, per promuovere un ambiente favorevole alla crescita demografica e alla prosperità delle famiglie. Un articolo scientifico del demografo Paul Demeny, pubblicato nel 1986 con il titolo Politiche pronataliste per Paesi a bassa fertilità, si poneva in maniera innovativa queste stesse domande. Cercando di tenersi egualmente distante dai pericoli di un certo radicalismo utopico e dall’assistenzialismo estremo, Demeny mette sul piatto quattro proposte radicali, che superano l’approccio del mero abbattimento del costo di fare figli e rimettono al centro della questione della natalità la famiglia, il cui ruolo sociale va vigorosamente ricuperato dopo decenni di marginalizzazione. Solo famiglie forti e stabili - secondo Demeny sono in grado di invertire i trend demografici negativi che stanno travolgendo tutto il mondo sviluppato.

Una prima proposta, che certamente risuona anche nella discussione sull’Opzione Donna nella Nadef presentata in questi giorni, è quella di parametrare le prestazioni pensionistiche future alle scelte di fertilità attuali. Nella letteratura scientifica, si è spesso studiato il collegato tra l’adozione di un sistema pensionistico universale e la riduzione dei tassi di fertilità. La tesi di fondo è che senza un sistema pensionistico i lavoratori generino i figli anche come forma di autoassicurazione per i tempi in cui non saranno più in grado di lavorare, mentre in presenza di un sistema pensionistico universale a riparto, come quello italiano, i figli generati oggi saranno i contribuenti che pagheranno le pensioni di domani anche a coloro che oggi decidono di non avere figli. Insomma, gli economisti parlerebbero di benefici pensionistici futuri pubblici e non escludibili a fronte di costi di crescere figli che rimangono privati; di qui il problema della sottoproduzione tipico dei beni pubblici.

L’idea di Demeny di agganciare le prestazioni pensionistiche future alle scelte di fertilità attuali riallineerebbe i costi attuali ai benefici futuri e, quindi, indurrebbe scelte di fertilità ottimali. Come già accennato, la proposta di Demeny ha già avuto qualche labile eco nella scelte pubbliche. Pensiamo alla discussione recente sulla possibilità di ridurre i requisiti pensionistici per le donne che hanno avuto figli, prevista da Opzione Donna. Rispetto a questa iniziativa, l’intuizione di Demeny suggerisce di non guardare alle scelte di fertilità passate, sulle quali non si può più incidere, ma alle scelte prossime, in vista di pensioni future. Inoltre, le scelte di fertilità riguardano entrambi i genitori, pertanto l’incentivo dovrebbe essere offerto a entrambi, a fronte di un impegno duraturo nel tempo rispetto alla crescita dei figli. Questa prospettiva fa salve le finanze pubbliche nell’immediato, perché nessun incentivo deve essere speso, perché se l’incentivo è efficace, una più alta fertilità permetterà di sostenere il sistema pensionistico.

Un'altra proposta per la quale l’articolo di Demeny è diventato famoso riguarda l’idea di rendere il suffragio davvero universale, estendendo il voto anche a quella parte importante della popolazione che ancora ne è priva. “Avvenire” si è già occupato del tema in varie occasioni. La proposta è quella di introdurre il voto fiduciario dei bambini, esercitato attraverso i genitori fino a quando i figli raggiungono l'età in cui possono esprimere direttamente il proprio voto (18 anni o anche meno). Questo meccanismo rafforzerebbe il ruolo delle famiglie e delle future generazioni nel sistema politico decisionale e la conseguente allocazione delle risorse pubbliche, che sappiamo essere preponderantemente concentrato sugli interessi delle generazioni anziane (pensioni e sanità). Per garantire un futuro sostenibile, è cruciale rendere il sistema politico più sensibile e rispondente agli interessi delle giovani generazioni. Del voto alla Demeny - per la verità già Antonio Rosmini ne aveva parlato a metà 800 - si discute per ora solo a livello accademico in Paesi dalla demografia preoccupante come l’Italia, il Giappone e la Germania. Sarebbe utile sperimentarne la sua efficacia in qualche contesto decisionale minore (amministrazioni locali, parrocchie o altri organismi di decisione collettiva rilevanti per la vita delle famiglie), al fine di poterne misurare l’efficacia nel riorientare le politiche pubbliche.

Un’ulteriore proposta radicale, volta a promuovere la parità di genere e rafforzare la sicurezza economica e lo status delle donne all'interno delle famiglie, concerne l’incorporazione della famiglia. Incorporare la famiglia per Demeny significa considerare la famiglia come un'unità economica interconnessa, simile a un'azienda, in cui i ricavi (salari, rendite, pensioni) sono considerati una risorsa di proprietà della famiglia stessa e non dei singoli coniugi. In Italia è già previsto il regime patrimoniale della comunione dei beni, che però è opzionale e concerne solo i beni acquistati dai coniugi insieme o individualmente durante il matrimonio. La proposta di Demeny estende il regime di comunione anche ai redditi, con l’idea che questa condivisione profonda delle risorse rafforzi in particolare modo la posizione della donna, che tipicamente soffre ancora di un gap salariale, e consenta alle potenziali madri di affrontare con più serenità i rischi connessi agli investimenti specifici della maternità. I nfine, l’ultima delle idee “dirompenti” di Demeny concerne il rafforzamento della responsabilità e dell’autorità dei genitori attraverso l’introduzione di voucher educativi. Demeny riteneva infatti che lo Stato “balia”, il quale ha l’ambizione di sostituire integralmente le funzioni genitoriali -inclusa quella educativa-, ha finito con il rendere ridondante il bisogno e l’ambizione di costruire una famiglia. Per contrastare questa tendenza, potrebbe pertanto essere auspicabile rafforzare la responsabilità e l'autorità dei genitori sull’educazione dei figli attraverso l'implementazione di voucher, che promuovono la competizione tra istituzioni scolastiche e restituiscono il controllo sull'educazione dei figli ai genitori stessi, oltre a favorire un miglioramento complessivo della qualità dell'istruzione e dell'ambiente educativo.

Certo, ciascuna di queste quattro proposte è a suo modo impegnativa e necessita di un ampio dibattito politico, anche perché le ramificazioni legali sono profonde fino a toccare la Costituzione stessa. Tempi difficili necessitano però di proposte radicali e le sfide che l’inverno demografico pone al Paese non possono essere affrontate con le consuete e ben sperimentate politiche, basate su incentivi economici volti a compensare il mero costo dei figli. Il merito delle proposte di Demeny, lanciate quasi quarant’anni fa, è quello di indicare la strada in salita che ci è data da percorrere.

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