venerdì 15 giugno 2012
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Hanno un nome e un cognome. Hanno un viso, un carattere, una personalità. Hanno gli occhi neri o azzurri, assomigliano alla mamma, hanno preso dal padre, fanno i capricci, piangono la notte, giocano, balbettano le prime parole. Sono diciassettemila e sono persone, bambini in carne e ossa, tutti nati nel 2011. Dovevano essere morti, invece sono vivi. Questa è la concreta realtà. La notizia, una volta tanto, è buona e viene dal bilancio dei 320 Centri di Aiuto alla vita (Cav) sparsi in tutta Italia: il 2011, fanno sapere, è stato un anno record, mai si era raggiunto un numero così alto di bambini salvati, il quintuplo rispetto soltanto a vent’anni fa. Le loro madri dovevano abortire, ma qualcosa o qualcuno ha cambiato il corso della loro vicenda, una piccola variante, un bivio, una svolta ha fatto sì che, ognuna in un modo diverso, siano tutte e diciassettemila approdate a un Cav. Donne in difficoltà, oppure soltanto confuse, senza certezze, in cerca di consiglio. Proprio quel consiglio che dovrebbero ricevere – secondo la legge 194 – molto prima di accedere alla sala operatoria per interrompere sul nascere la vita di quel figlio. «Lo Stato, le Regioni e gli enti locali promuovono tutte le iniziative necessarie» per evitare l’aborto, è scritto, ma questo non avviene. Eppure la legge che chiamiamo "sull’aborto" in realtà è finalizzata prima di tutto (già nel titolo) alla «tutela sociale della maternità». Diciassettemila bambini sopravvissuti, anzi vivi, sono indiscutibilmente una buona notizia, questa volta proprio non immaginiamo quale distinguo potrebbero accampare gli oltranzisti della libertà di aborto per non considerarla tale: nessuno ha costretto le loro mamme, hanno chiesto aiuto e lo hanno ricevuto, riuscendo così a trovare la forza e la determinazione per mettere al mondo il proprio figlio. Si chiama prevenzione, e i numeri dati dal Movimento per la Vita dicono che funziona. È inevitabile a questo punto chiederci quanti esseri umani si sarebbero salvati se si fosse fatto di più, se la legge 194 fosse stata davvero applicata, se ciò che fanno volontariamente i centri di Aiuto alla vita e il Progetto Gemma (adozione di gestanti in difficoltà prima e dopo la nascita del bimbo: ventimila gli aborti così evitati in meno di vent’anni) fosse condiviso anche da chi ne ha il dovere (consultori, servizi sociali, ecc.) per specifica funzione. I diciasettemila fortunati che ce l’hanno fatta, dicevamo, sono in media il quintuplo rispetto a vent’anni fa, e di questo non possiamo che gioire, ma poi è quel "quintuplo" che ci colpisce come un pugno nello stomaco, ricordandoci di conseguenza la strage silenziosa avvenuta in questi decenni, evitabile, prevenibile, condannabile. «Non temo la cattiveria dei malvagi, temo il silenzio dei giusti», scriveva Martin Luther King, e in questa storia, che dal 1978 (anno di promulgazione della 194) ha fatto cinque milioni di morti, di malvagi non ce ne sono, semmai di donne lasciate sole, mentre di silenzi ce ne sono anche troppi. «Non dobbiamo giudicare le donne: esse non sanno – diceva don Oreste Benzi,, che dall’aborto ha salvato migliaia di bambini –. I medici però dovrebbero far sì che ogni donna sia consapevole di portare in grembo una vita, dovrebbero farle vedere un’ecografia del bambino, perché sia davvero consapevole della scelta che fa». «Esposi il mio dubbio al ginecologo, gli chiesi se non stavamo uccidendo una vita, mi rispose ridendo che era solo un grumo di cellule», ci ha raccontato Alessandra, giovane attrice romana, che da allora non si dà pace. Una strage evitata, diciassettemila persone salvate, sono una tale notizia che ci aspetteremmo di trovarla oggi su tutte le prime pagine... Ma purtroppo ne dubitiamo. Di recente sulla prima pagina di uno dei maggiori quotidiani abbiamo trovato invece un’invettiva contro i medici obiettori di coscienza (peraltro ammessi dalla stessa legge 194), per colpa dei quali in Italia sarebbe quasi impossibile riuscire ad abortire... E sempre sullo stesso giornale mesi fa avevamo letto un titolo allarmante: «Quattrocento mamme ogni anno in Italia abbandonano il neonato». In realtà era il contrario: sono quelle che, anziché abortirlo, accettano quanto le norme ammettono, ovvero di lasciarlo in ospedale, all’amore di un’altra famiglia. Questione di punti vista. O forse soltanto di obiettività.
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