giovedì 9 aprile 2015
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Un’imprenditrice scrive ad "Avvenire": «Per qualche tempo la mia Pasqua si è fermata al venerdì santo... la paura di perdere tutto aumenta ogni giorno, come il livello dell’acqua nella stiva squarciata di una nave». Testimonia così il periodo di difficoltà vissuto dalla sua azienda e, per immediata trasposizione, da lei e dalla sua famiglia. In poche, efficaci righe descrive una storia simile a quella di mille altre persone nell’Italia repubblicana: il padre fondatore, la costruzione di una buona reputazione, la malattia del genitore e la successione alla guida dell’impresa, la crisi, i problemi apparentemente insormontabili. Nulla di nuovo nei lunghissimi anni di questa vischiosa crisi, che hanno lasciato sul terreno non solo posti di lavoro, sogni e progetti, ma anche, più drammati-camente, vite umane, quasi sempre vite di imprenditori.Non è certo qui, dunque, l’interesse del caso. Basta però scorrere poche righe: «Qualcosa però ti dice di non mollare, di non credere alla "cultura dello scarto"... incominci allora a selezionare, ad approfondire le questioni, a ricercare chi può ancora credere in te, nonostante tutto ... (e così) ho capito che anche per me può esistere la Pasqua di Risurrezione». Ecco: questo è il punto, già sottolineato dal direttore nella sua risposta. In quei momenti deve esserci qualcuno che continua a credere in te. Certo, vorresti lo siano innanzitutto le banche, i fornitori, i clienti, la pubblica amministrazione, ma forse anche più importante è la vicinanza di singole persone, o di realtà più ampie, che aiutino a mantenere alto lo sguardo, altrimenti apparentemente inghiottito dal buio, che valorizzino l’importanza del tuo lavoro. Molto ascolto e qualche consiglio è ciò di cui c’è bisogno, ma che drammaticamente manca in un mondo dove di consulenti ce ne sono fin troppi.Quando il problema è strutturale e di oggettiva difficile soluzione questa compagnia non sposta evidentemente il problema di una virgola, ma offre un sostegno e aiuta nella difficoltà del procedere. Nella maggior parte dei casi, quando i problemi ci sono, ma sono gestibili, aiuta a mantenere morale e lucidità di visione e di giudizio nell’affrontarli, il più delle volte riuscendo così a superarli. In un Paese la cui economia, e quello che da essa consegue, vive di piccole e medie imprese il compito di "fare compagnia" a chi rischia in prima persona dovrebbe essere istituzionale almeno per le associazioni imprenditoriali, all’interno delle quali invece, in molti casi, si è ceduto a burocrazie e interessi di parte, sia pure legittimi. Anche scuole, università, attività di divulgazione editoriale e cinematografica, enti locali potrebbero aiutare amplificando quello che nella nostra realtà è tuttora più diffuso di quanto crediamo: uomini e donne che hanno idee e voglia di realizzarle per passione e tornaconto personale, ma anche per contribuire al benessere di tutti. Occorre riconoscere questa figura nei suoi tratti distintivi, proporla come immagine positiva, forse la vera risorsa economica di cui disponiamo. Riconoscere, non solo simbolicamente, la figura dell’imprenditore può essere utile anche a sottolinearne i doveri sociali, a temperarne l’iniziativa privata nell’interesse della collettività più ampia, a emarginare figure imprenditoriali, poche per la verità, che, nel loro essere più simili a pirati che a costruttori di imprese, ne danneggiano l’immagine complessiva.Per il resto l’imprenditore è una persona come tutte le altre, spesso purtroppo determinato dall’esito della propria azione più che dall’approfondimento del desiderio da cui quell’azione è stata provocata: di fronte al profondo insuccesso, che sembra rendere inutile la fatica, anzi che la moltiplica togliendole una prospettiva, per alcuni la solitudine ha generato il dramma. Non sta a noi giudicare: certo c’è una compagnia tra uomini, spesso alimentata dalla fede, che può lenire queste sofferenze e sta a noi renderla incontrabile a tutti.
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