venerdì 29 giugno 2012
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I leader europei sono riuniti a Bruxelles per sancire il futuro dell’Unione. È un momento decisivo per l’Europa per dimostrare ai nostri cittadini e al mondo che l’Europa è determinata a integrarsi ancora di più. La crisi ha dato il via a un dibattito assolutamente necessario sullo stato dell’Europa. Una cosa però è certa: l’unica via di uscita dalla crisi passa per la creazione di un’Unione più forte, più coesa e più perfetta. Dobbiamo renderci conto che questa crisi è innanzitutto una crisi di fiducia. Guardiamo un attimo cosa accade sull’altro lato dell’Atlantico: a maggio 2012 il debito degli Usa era pari al 101% del Pil (nell’Eurozona la media è del 91%). Nel 2012 il deficit sarà al 7% del Pil (nell’Eurozona è al 3%). Come mostrano le cifre, gli USA sono ormai su una traiettoria di bilancio insostenibile, e a dirlo è il presidente della Fed Ben Bernanke. Eppure nessuno mette in discussione il mercato unico Usa né la sopravvivenza del dollaro. La ragione è semplice: più di 200 anni fa gli americani sono passati dall’essere un’unione poco coesa a un’unione fiscale e politica. Le sue fondamenta sono state gettate nel 1790. Dopo la guerra di indipendenza, molti Stati erano gravemente indebitati, perciò tre uomini politici (Hamilton, Jefferson e Madison) decisero che occorreva, per una sola volta, ripartire il debito degli Stati ed emettere nuovi bond garantiti dal Tesoro americano. Questi bond finanziano tuttora il dollaro americano così come il sistema bancario ed economico degli Stati Uniti. I cittadini americani ne hanno la prova ogni volta che entrano in banca: infatti, le istituzioni assicurate dal Tesoro espongono cartelli con scritto: «I depositi sono garantiti dalla buona fede e dal credito del governo degli Stati Uniti». Questa garanzia federale è la ragione per cui i cittadini americani sanno che i loro depositi sono al sicuro, anche in tempo di crisi. Nei prossimi anni l’Europa potrebbe adottare un approccio simile. I leader europei stanno lavorando a questo progetto con un’autorità di sorveglianza bancaria unica e un sistema europeo di garanzia dei depositi. Il modo più efficace per arrivarci sarebbe trasferire alla Bance centrale europea le competenze di sorveglianza di tutte le banche rilevanti per il sistema. I Trattati attuali lo consentono. Una tale unione bancaria dovrebbe essere garantita dalla buona fede e dal credito di tutti i governi dell’Eurozona e, un giorno, da un Ministero delle finanze europeo. Il cammino quindi è chiaro: nei prossimi anni dovremo trasformare la nostra unione economica e monetaria in una federazione politica forte, dotata di unione monetaria, fiscale e bancaria, che copra almeno l’Eurozona e sia aperta a qualunque altro Stato membro. È indubbio che questi cambiamenti non si faranno da un giorno all’altro, così come Roma non fu costruita in un giorno, però dobbiamo già ora predisporre una tabella di marcia realistica per riuscire a concretizzare questa visione entro il 2020. Il Vertice di questa settimana potrebbe facilmente diventare la versione europea della famosa cena di Hamilton del 1790. Il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha avanzato proposte ambiziose che susciteranno molte reazioni positive, anche da parte del Parlamento europeo, l’organo democraticamente eletto dell’Ue. Per fare un grande balzo nel processo di integrazione occorre che i leader guardino oltre gli interessi individuali a breve termine. Dovranno rendersi conto che nel mondo globalizzato condividere e rendere federale la sovranità non comporta una perdita di potere democratico, ma al contrario è il solo modo per mantenere questo potere di fronte a sfide sempre più grandi, a cominciare dalla crisi economica o dai cambiamenti climatici. Serve dimostrare che l’euro e l’Ue «sono lì per restare». Non solo supereremo la tempesta, ma diventeremo più forti. È venuto il momento di costruire una federazione europea.
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