mercoledì 18 gennaio 2012
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​Si dice che Jane Austen abbia confessato al termine della sua breve esistenza: «Sono stata egoista tutta la vita, ma di fatto, non come principio». Come notava la scrittrice inglese, fine indagatrice dei sentimenti umani, pochi hanno il coraggio di teorizzare l’idea che ciascuno si debba arrangiare, nell’indifferenza altrui. Qualcosa di simile ha invece affermato ieri il capo dei consiglieri economici del governo tedesco, Wolfgang Franz, sostenendo che Roma «può fare il lavoro da sola», in implicita risposta all’appello lanciato lunedì da Mario Monti affinché Berlino s’impegni di più per l’Italia. Il riferimento «al suo stesso illuminato interesse» non sembra abbia smosso la linea rigorista tedesca, che assomiglia in modo crescente a un arroccamento nella propria fortezza, per ora al riparo dai più forti venti di crisi che spazzano l’intero continente. L’altro giorno era stato Sarkozy a sfilarsi dal vertice a tre previsto per il 20 gennaio, indebolendo ulteriormente il motore della riforma fiscale europea, unico baluardo allo tsunami che minaccia la moneta unica e le sue economie. Se vuole conservare il proprio elettorato, per nulla disposto a pagare il conto della Grecia o dell’Italia, la cancelliera Merkel ritiene di dover centellinare le concessioni al risanamento condiviso, spesso limitandole a enunciazioni generali – come ha fatto nel summit con Monti della settimana scorsa – e poi smentendole al momento delle decisioni operative. È questa una delle cause dell’incancrenirsi della situazione di Atene, che forse poteva essere salvata prima e a un prezzo meno oneroso, mentre ora si avvia a un default "controllato", ma quantomai rischioso e, soprattutto, enormemente doloroso dal punto di vista sociale. Le stesse considerazioni valgono per il presidente francese, impegnato in una difficile campagna per la rielezione all’Eliseo. Finché ha potuto, è stato disposto a mantenere l’asse con Berlino alla guida dell’Unione, ora però si trova sotto schiaffo interno per il bruciante declassamento del rating nazionale, che ha privato Parigi della "tripla A". Anche per lui vale più un allentamento delle politiche di bilancio per rimanere in carica un altro quinquennio rispetto all’interesse prevalente dell’Europa. D’altra parte, leader che chiedessero sacrifici per il bene non soltanto della propria patria avrebbero poi poco da offrire, una volta scalzati dal potere proprio a motivo dell’eccessiva generosità rivolta all’esterno. Nessuno fa eccezione: la Grecia fece letteralmente carte false per entrare nell’euro, cercando il proprio vantaggio e di fatto mettendo una bomba a orologeria sotto la casa comune. L’Italia ha molto indugiato prima di imboccare una strada tanto virtuosa quanto scomoda, come dimostrano le nostre vicende politiche recenti. E pure, in maniera ancora più preoccupante, il moltiplicarsi di atti ostili e violenti contro Equitalia. Il presidente dell’eurogruppo Juncker aveva perfettamente sintetizzato il dilemma che ha paralizzato gli interventi strutturali resisi urgenti negli ultimi anni. Ciò che serve all’Europa da parte di ogni Stato membro coincide esattamente con quanto ostacola la conferma al comando dei singoli capi di Stato o di governo. In altri e meno eufemistici termini, l’egoismo nazionale necessario per ottenere il consenso interno impedisce di lavorare per la causa comune in misura sufficiente a evitarne il progressivo deterioramento. Adesso che il rischio è addirittura quello del crollo, si riduce la possibilità di posticipare ulteriormente scelte impopolari per chi non le ha compiute finora. Che cosa farà al dunque la Germania? Dal vertice di fine mese con qualche determinazione subito efficace si dovrà uscire. Tuttavia, l’incognita delle future consultazioni sarà certo una zavorra sulle ali di Merkel, Sarkozy e altri leader. In attesa di una maggiore, ma lontana, integrazione fra Paesi, verrebbe da augurarsi una progressiva sintonizzazione degli appuntamenti alle urne degli Stati membri. Se si potesse unificare il ciclo elettorale, tutti i responsabili nazionali subito dopo il voto potrebbero permettersi di fare più concessioni "europeiste", creando una finestra per le riforme meno condizionata da calcoli a breve termine. Ma svanita questa fantasia istituzionale, speriamo di non dover fare i conti con troppe macerie e le ammissioni contrite e tardive da parte di molti d’essere stati egoisti, di fatto e come principio.
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