Vera cittadinanza alla scienza per una scuola orientata al futuro
mercoledì 11 maggio 2022

Pur con molte eccezioni dovute prevalentemente a iniziative di singole scuole e di singoli insegnanti, la situazione dei programmi scolastici richiede significativi cambiamenti, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo di competenze scientifiche, il vero motore dello sviluppo. La scuola italiana, infatti, è fondamentalmente ancorata a programmi del secolo scorso con una impostazione di tipo letterario-filosofico-artistico. Se voglio sapere se la terra è sferica, se voglio cambiare le caratteristiche di una pianta, se voglio sapere se un farmaco fa bene o fa male non lo posso chiedere alla filosofia, alla musica o al greco: lo devo chiedere alla scienza, che come tutte le attività umane compie errori, ma ha in sé la capacità di correggerli perché nella scienza ha valore solo ciò che è riproducibile da altri ricercatori e con altre metodologie. La scienza appartiene al 'sapere' che è fatto di tanti tipi di conoscenza che la scuola deve saper integrare attraverso docenti, a tutti i livelli scolastici, formati per operare nel senso indicato. Ce n’è a sufficienza per chiederci cosa si debba fare.

Non dimenticando che le possibilità di informazione si sono arricchite di nuove tecnologie come radio, televisione, banche dati, piattaforme informative, internet. Oltre al fatto che sono avvenuti profondi cambiamenti nella popolazione. Vent’anni orsono i diciottenni in Italia erano un milione, oggi sono meno della metà. Infine le importanti modifiche avvenute nella società hanno aumentato le conoscenze 'non-scolastiche' dei giovani, con il risultato che l’età dell’adolescenza è diminuita iniziando oggi intorno ai 10 anni. Tenendo in conto anche questi elementi, per semplificare mi riferirò a tre – necessari – grandi cambiamenti, senza ovviamente entrare nei particolari che sono competenze degli esperti di didattica e pedagogia. Il primo cambiamento richiede la presenza nella scuola della scienza come componente della cultura. Purtroppo nella stessa Costituzione si dice che lo Stato supporta la scienza e la cultura. Sono due cose diverse? In qualsiasi rubrica giornalistica, televisiva di tipo culturale la scienza è raramente presente, e spesso viene discussa in una pagina o in un programma a parte.

Qualcuno potrebbe obiettare che la scienza è presente nella scuola attraverso le materie scientifiche come chimica, fisica, biologia. È vero, ma quelli sono i contenuti della scienza che spesso sono superati da altre conoscenze che si aggiungono velocemente in tempi sempre più brevi. Ciò che manca è la scienza come fonte di conoscenza, una conoscenza unica non sostituibile che si ottiene grazie a una specifica metodologia. In altre parole, la scuola non educa alle fatiche del metodo scientifico. Un secondo cambiamento riguarda l’eccessivo ancoraggio al 'passato' della scuola italiana. In realtà, di quasi tutte le materie si insegna la storia: della letteratura, della filosofia, dell’arte, anche se l’insegnamento della storia dei popoli e delle nazioni si ferma molto spesso alla Prima guerra mondiale, sorvolando non di rado su cosa è stato il fascismo, il nazismo, le dittature, la Shoah. Ciò nonostante, questo determina nello studente certamente una buona conoscenza del passato.

Sappiamo molto bene – ed è importante saperlo – da dove veniamo, ma non sappiamo dove andiamo. Ciò determina una scarsa capacità, che si riflette logicamente anche nella classe politica, di pensare al futuro, di capire cosa si deve fare per averne uno migliore. La mancanza di protocolli per affrontare una pandemia o per pensare in tempo a preparare un vaccino è frutto anche di questa distorsione. Abbiamo grandi difficoltà a sviluppare strategie. Quanti sono, ad esempio, i piani pluriennali a livello comunale, regionale, nazionale, che vengono poi realizzati e controllati in materia di produzione e consumo di energia? Sapere dove andiamo, a quale porto vogliamo approdare, si può apprendere solo se la scuola ci fornisce gli elementi fondamentali. Un terzo cambiamento riguarda la 'passività' degli studenti dalle elementari all’università.

Regna ancora la lezione 'frontale' in cui si deve ascoltare, ma non c’è un incitamento a fare domande, a esprimere opinioni diverse. Occorre invece fare in modo che gli studenti facciano almeno una parte delle lezioni. Esistono oggi enormi fonti di informazione a cui ci si può riferire, per cui gli stessi studenti possono fare una parte delle lezioni. I professori dovrebbero essere d’aiuto per indicare le fonti, correggere gli errori, completare le lacune. Meno 'temi' e più riassunti. Molti maturandi non sono in grado di riassumere in modo adeguato ciò che hanno letto. Occorre anche che la scuola sia più attiva nel mettere a disposizione laboratori interni o esterni in cui gli studenti possano vedere come la teoria si traduce poi in attività pratica. Ciò dovrebbe facilitare una formazione che permetta di essere più vicina alle richieste del mondo dell’impresa e del lavoro. Ci si deve augurare che i politici capiscano la necessità di questi cambiamenti. Se non si faranno, la scuola sarà sempre meno la fonte della cultura di cui la nostra società ha bisogno.

Fondatore e presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs

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