Venite tra di noi: il sisma non (ci) vince
mercoledì 11 aprile 2018

24 agosto 2016, 26 e 30 ottobre 2016, 18 gennaio 2017: a chi vive nell’area coinvolta dai terremoti del Centro Italia non servono agende o calendari per ricordare queste date, sono incise in profondità nella psiche di ciascuno e a ognuna di esse è associato il ricordo nitido di che cosa si stava facendo al momento della scossa. Ora si aggiunge un nuovo marcatore in corrispondenza del 10 aprile 2018. Stavolta il sentimento associato non è più, forse, la paura, quanto lo scoramento; si va sgretolando la speranza di stare avviandosi a una pur lenta ripresa della normalità, e il sentimento positivo rischia di essere sostituito dalla rassegnazione a convivere a tempo indeterminato con un’inquietudine del sottosuolo quasi senza precedenti. Se dopo quasi 20 mesi dalla prima scossa e a più di un anno dall’ultima che aveva destato allarme, può ancora scatenarsi un sisma di magnitudine 4.6, nessuno può presumere con ragionevole fiducia che domani o a distanza di molti mesi la terra non tornerà a tremare ancora più violentemente.

È questo il tarlo che insidia la mente di quanti, come me, sono stati svegliati bruscamente dal tremito insistito del proprio letto, ma forse è anche il pensiero di chi il terremoto non l’ha sperimentato sulla propria pelle e ne ha solo sentito parlare in tv o letto sui media. Una medesima riflessione, ma prospettive che si divaricano: chi vive qui si guarda attorno, vede che i danni ulteriori sono modesti e circoscritti, e che nessuna vita è stata a repentaglio – peraltro il Maceratese non aveva contato alcuna vittima neppure in occasione delle violente scosse del 2016 –. E quindi si rimbocca le maniche per rimettersi in moto, sbraitando per la ricostruzione privata che ancora non decolla, invischiata nella ragnatela burocratica inestricabile creata dalla miriade di ordinanze, ma sempre convinto che questa terra sia un posto buono e bello in cui merita vivere, lavorare e coltivare gli affetti. Ma c’è anche lo sguardo di chi osserva le Marche dall’esterno, e magari le sta valutando quale potenziale meta turistica, nell’ipotesi di trascorrervi le ferie estive, di dedicare a esse un weekend primaverile, di programmare un’escursione in camper o una gita della scuola, dell’oratorio, del circolo ricreativo...

Meglio cambiare idea (e meta)? Legittimo che la domanda si affacci. Ma non serve essere coraggiosi per accantonarla, basta considerare i fatti. Tutte le proposte cui un turista può aderire hanno la sicurezza come premessa categorica, imprescindibile. Ciò che si può visitare – molto – , o non ha subito danni, o è stato messo in sicurezza. E se questo è vero, il terremoto può diventare un motivo in più per partire alla volta di Recanati, Macerata, Treia, Tolentino, Urbisaglia, San Ginesio, Sarnano, Amandola, Comunanza... (per citare alcuni tra i luoghi che meno appaiono nelle cronache). Un motivo in più perché, senza rinunciare a ciò che piace, si potrà vivere un’esperienza concreta di solidarietà. Ciò che serve alle popolazioni terremotate e ai maceratesi in particolare – dato che nella loro provincia si concentra quasi il 40% dei danni inferti dal terremoto – è questa solidarietà vecchia maniera, versione 1.0, fatta non di 'Mi piace' su Facebook, magari declinati in cuoricini o lacrimucce, ma con la sostanza del farsi vicini, del rendersi presenti. Chi deciderà per il sì, sarà ampiamente ripagato e non avrà che l’imbarazzo della scelta tra bellezze paesaggistiche che spaziano dal mare ai Sibillini, i 'monti azzurri' cantati da Leopardi, borghi medievali integri, vestigia romane, musei, pinacoteche, chiese, feste tradizionali… E poi la scoperta di un’economia che è fatta di produzioni di gran pregio legate alla terra, di una gastronomia di qualità, di cantine prestigiose, di birrifici artigianali... e anche di outlet di grandi marchi della calzatura. Buon viaggio, vi aspettiamo.

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