Venezia ricorda che il cinema è anche verità e sacra tensione
martedì 12 settembre 2023

C’è molto da riflettere su quello che è stato detto durante la cerimonia di premiazione dell’80esima Mostra d’arte Internazionale Cinematografica di Venezia. Una delle edizioni più “politiche” nel senso migliore del termine, dove anche i premi a film e attori hanno avuto un peso specifico importante.

L’umanità al centro, a partire dal trionfo del film di Matteo Garrone “Io capitano” che racconta le traversate dei migranti dal loro punto di vista, che si è aggiudicato la miglior regia e il premio Marcello Mastroianni al migliore attore emergente a Seydou Sarr. Il suo “grazie” emozionato e col fiatone vale più di mille discorsi: questo ragazzo africano di 17 anni destinato alla cecità come sua madre, per una malattia degenerativa, arrivato in Italia e operato, è guarito e ha raccontato attraverso i suoi occhi scuri tutto il dolore dell’Africa. A parlare per tutti dal palco del Palazzo del Cinema è stato Kouassi Pli Adama Mamadou, che ha anche partecipato alla stesura della sceneggiatura ispirata alla sua storia.

Nato in Costa d’Avorio nel 1983, Mamadou stava studiando lingue all’università quando è scoppiata la guerra civile nel 2001. Per fuggire agli orrori del conflitto, dunque, decide di scappare con suo cugino e incontra l’inferno. Lui alla fine ce l’ha fatta e ha dedicato il film «a tutte le persone che non sono potute arrivare» invocando «la possibilità di un ingresso regolare come ha detto il Presidente Mattarella» per stroncare il traffico di esseri umani. Ancora «umanità da difendere» invoca Agnieszka Holland, Premio della Giuria a Green Borde sulla mancanza di compassione verso chi cerca di attraversare il confine tra Bielorussia e Polonia, mentre coraggiosi attivisti tentano di salvare la vita a centinaia di rifugiati.

Venezia ci ha ricordato che il cinema non è solo fabbrica dei sogni, ma anche verità. Come quella degli ultimi delle periferie raccontati da Micaela Ramazzotti in “Felicità”, premiata dagli spettatori nella sezione Orizzonti Extra al suo esordio come regista che ha dedicato il premio a tutte le persone fragili. A riassumere il senso di questa umanità ritrovata è stato però anche il discorso dell’attore Peter Sarsgaard, Coppa Volpi come miglior attore per “Memory” di Michel Franco, per un intenso ruolo di uomo malato di demenza precoce. Un discorso di cui le agenzie hanno riportato solo la parte dedicata alle lotte sindacali degli attori, mentre in realtà è più complesso con un esordio dedicato all’Eucarestia.

Sì, proprio all’Eucarestia, dall’attore americano cattolico, che è stato chierichetto e studente del Fairfield College Preparatory School, una scuola maschile gesuita del Connecticut dove inizia a interessarsi di cinema e recitazione. Sarsgaard ha ribadito il valore sacro e “sacramentale” dell’umanità riunita in un cinema percependo «una connessione, una sorta di comunione dove riusciamo a cogliere la nozione che siamo un’unica cosa.

Quand’ero molto giovane da ragazzo cattolico questo sentimento lo trovavo nella calma della chiesa in seguito al momento dell’Eucarestia, sentivo che le persone attorno a me pensavano che ci fosse qualcosa oltre – ha aggiunto –. Ho scoperto la stessa quiete in altri posti nell’umanità: l’ho trovato nella chiesa, nelle stanze da concerto, nel teatro... Le nostre menti all’unisono hanno a che fare con un silenzio collettivo: questa esperienza umana condivisa è però un sacramento davvero essenziale dell’umanità». Un discorso quasi “mistico” per mettere in guardia dai pericoli dell’intelligenza artificiale, che rischia non solo di far crollare l’industria cinematografica, ma anche di ribaltare il modo di trattare i malati e le guerre. Lo sguardo di matrice cristiana dell’attore fa centro: «Senza questo sacramento, questa esperienza sacra di essere umani sarebbe consegnata semplicemente alle macchine e ai miliardari che le posseggono. Una disconnessione che prepara la strada a nuove atrocità».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: