Per uscire dalle «trappole»
sabato 27 luglio 2019

Il mondo bancario e finanziario sta vivendo una stagione di trasformazioni straordinarie che presenta luci e ombre. Che sono in realtà due facce della stessa medaglia perché i mutui a tasso fisso e variabile ai minimi storici (1,79 e 0,88% rispettivamente in media) sono una benedizione per i risparmiatori e per chi vuole comprare casa, ma una "croce" per le banche che vedono assottigliarsi i margini e la redditività su questo come su altri segmenti della loro attività con la clientela. Banche che in un contesto concorrenziale così aspro si trovano a competere non solo tra di loro, ma anche con prodotti e servizi innovativi "fintech" che utilizzando la rete replicano attività un tempo unicamente di loro appannaggio e ora realizzabili almeno in parte disintermediando. A partire dalla raccolta fondi (crowdfunding), fino al prestito (social lending) e ai servizi di liquidità (attraverso l’insidia presente e futura dei borsellini virtuali offerti dai giganti del digitale con le criptovalute). Non a caso ci misuriamo in questi giorni con le difficoltà di Carige di ottenere i capitali necessari per la sua ristrutturazione e di Unicredit che ragiona su un possibile piano industriale che prevede esuberi di dipendenti nell’ordine delle 10.000 persone.

Tra le luci principali di questo scenario globale va registrato l’avvicendamento di Mario Draghi con Christine Lagarde che ha fugato i timori per un cambiamento di strategie della Bce in direzione più restrittiva. I mercati hanno festeggiato facendo crollare anche lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi che è sceso sotto i 200 punti. L’atteggiamento così favorevole alla creazione di moneta e alla riduzione dei tassi delle banche centrali è giustificato dal fatto che in questa fase di forte competizione globale sul costo del lavoro e di nuova rivoluzione tecnologica (Industria 4.0) l’inflazione fa veramente fatica a rialzare la testa e giustifica comportamenti accomodanti dei banchieri centrali.

Si tratta del contesto più favorevole possibile per il finanziamento del debito pubblico anche se la bassa inflazione non contribuisce a ridurre il valore reale del debito. Basti considerare che molti Paesi dell’Eurozona riescono a emettere titoli di debito pubblico con tassi negativi (l’Italia per titoli di durata non superiore a due anni, la Spagna fino a 3, Paesi come la Germania e il Giappone fino ad 8 anni). Il fatto che il 30% della ricchezza delle famiglie (più di 1.300 miliardi) sia parcheggiato sui conti correnti fa il paio con i rendimenti negativi dei titoli di Stato e ci fa comprendere che viviamo un’epoca di paura in cui prevalgono atteggiamenti estremamente prudenti. Keynes ha coniato il famoso concetto della "trappola della liquidità", ricordando che puoi portare il cavallo alla fonte, ma non puoi costringerlo a bere. Il concetto si proponeva di spiegare che, nonostante tassi bassi e anche bassissimi, i risparmiatori quando sono molto preoccupati per il futuro non utilizzano l’opportunità davanti a loro per finanziare attività d’investimento reale più rischiose e ad alto rendimento. Oggi possiamo parlare di "trappola della liquidità e dei titoli di Stato a tassi negativi" (visti come assicurazioni nell’utilizzo del risparmio per le quali, proprio come quando facciamo una polizza, sono disposto a pagare un premio piuttosto che ricevere un rendimento).

In finanza, come nella vita sociale e in quella dell’economia reale, la paura paralizza e impedisce di cogliere opportunità importanti. Basti pensare a quanti progetti d’investimento privato e pubblico possono vantare rendimenti attesi di gran lunga superiori a quei tassi zero o negativi e non vengono finanziati perché il risparmio parcheggiato sui conti correnti o investito in titoli pubblici a tassi negativi non si indirizza verso attività più rischiose. Se ci voltiamo indietro e guardiamo all’orizzonte degli ultimi dieci anni scopriamo che l’indice (Fideuram) dei fondi d’investimento azionari internazionali ha reso mediamente il 9,72% all’anno.

Mentre l’esperienza dei Piani individuali di risparmio (Pir, fondi d’investimento con importanti sgravi fiscali sui capital gain che investono in piccole e medie imprese) è stata solo parzialmente efficace perché si è scontrata contro un mercato finanziario nazionale non ancora in grado di costruire in grande scala strumenti d’investimento nelle piccole e medie imprese non quotate.

La grande opportunità vincente per tutti i protagonisti in questo scenario pieno di luci e di ombre, sta dunque nella capacità del sistema bancario di innovare e di offrire prodotti capaci di veicolare i risparmi degli italiani verso l’investimento delle imprese (soprattutto di quelle piccole e medie che hanno maggiore difficoltà di accesso al credito). È ovvio che non si può chiedere al piccolo risparmiatore di rischiare tutti i propri risparmi del finanziamento di una piccola impresa. Per cogliere l’opportunità è pertanto necessario costruire e rendere più spessi i mercati di nuove attività finanziarie (fondi chiusi, fondi ad impatto, Pir rinnovati, bond di distretto, minibond) in grado di distribuire il rischio convogliando quei risparmi su un portafoglio diversificato di investimenti.

Il sistema bancario può recuperare marginalità se si specializza e diventa in grado di offrire questi tipi di servizio. E, riuscendo nel suo scopo, contribuisce anche al progresso sociale ed economico del Paese. Le istituzioni hanno il compito di rimuovere ostacoli e costruire incentivi affinché questa rivoluzione possa finalmente compiersi.

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