Uno scandalo (forse) salutare
mercoledì 23 settembre 2020

Discutendo del trattamento degli stranieri quando chiedono di entrare o di insediarsi o di acquisire la cittadinanza di un altro Stato, si dice talvolta che «la ricchezza sbianca». Ossia i benestanti, quale che sia il colore della loro pelle, sono trattati in maniera assai diversa e migliore degli stranieri poveri: quelli che comunemente chiamiamo 'immigrati', anzi 'migranti'.
Le stesse politiche pubbliche ammettono questo principio.

Un numero crescente di Stati – per esempio Malta e Cipro – concede la cittadinanza senza condizioni agli investitori che arrivano dall’estero dotati di un certo gruzzolo. Applicano lo ius pecuniae. Le politiche migratorie hanno assunto un profilo selettivo, e criteri socio-economici sono adottati in modo sempre più accurato per distinguere stranieri desiderabili e stranieri sgraditi.

Anche i campioni dello sport appartengono alla categoria degli stranieri ben accetti, e quando guadagnano molto lo sono doppiamente: mai si parla di loro come immigrati, e spesso le autorità pubbliche fanno ponti d’oro per naturalizzarli e rivestirli della maglia delle loro nazionali.

A volte però la congerie di regole introdotte per limitare i diritti degli stranieri può diventare una trappola anche per gli immigrati ben accetti. Salvo cercare di far entrare per la porta di servizio, con qualche furbizia che un tempo si sarebbe detta 'all’italiana', le persone che vorremmo, ma che con i criteri formali fissati dalle norme proprio non passerebbero.
In questa trappola è caduto il campione uruguaiano Luis Suarez. In trattativa con la Juventus, poi interrotta, sembra ora destinato all’Atletico Madrid: aveva bisogno della cittadinanza italiana per risultare comunitario ai fini sportivi ed essere così tesserato senza problemi e limiti da qualunque squadra europea. C’era persino una bella norma di legge che avrebbe potuto sgombrargli il terreno verso il gol: il nostro codice della cittadinanza, quello approvato nel 1992 e mai riformato, infatti, prevede un trattamento di favore per i discendenti degli emigranti italiani, e giacché le famiglie non vanno separate, anche per sposi e figli. Qualche goccia di sangue italiano nelle vene conta più di molti anni di residenza e di lavoro in Italia.
Luis Suarez ha la fortuna di essere sposato con una signora dotata di passaporto italiano, ereditato dal nonno friulano, e il dribbling sarebbe riuscito in modo impeccabile. Sennonché al Viminale per un breve ma decisivo periodo è passato Matteo Salvini. A differenza dei suoi predecessori del medesimo schieramento, il 'ministro dei confini' ha inquadrato nel mirino anche i coniugi dei cittadini italiani, imponendo anche a loro un complesso test di accertamento della conoscenza della lingua italiana per poter accedere alla cittadinanza.
Una norma ingiusta, perché gli affetti e il vincolo matrimoniale dovrebbero contare più delle capacità cognitive, della cultura, dell’abilità linguistica, nel definire i diritti delle persone. Ma nessuno fin qui l’aveva seriamente contestata. Preso atto dei vincoli di legge, qualche solerte consulente sbucato dal sottobosco del calcio italiano deve aver consigliato al campione uruguaiano e al suo staff una brillante scappatoia: un esame organizzato a tambur battente ed espletato a tempi di record. Da campione.
Già erano fioccate le proteste di quanti aspettano da anni l’agognata cittadinanza, poiché lo stesso Salvini con i decreti (in)sicurezza ha portato da due a quattro anni il tempo massimo per ottenere una risposta alla domanda di naturalizzazione, mentre il governo in carica – nonostante la ministra Luciana Lamorgese abbia consegnato a metà agosto le sue proposte a Palazzo Chigi – non ancora trovato il tempo per modificare questo incomprensibile aggravio procedurale. Immigrati e volontari avevano raccontato quanto lungo e impegnativo fosse stato il percorso seguito per arrivare alla conoscenza richiesta. Ora si scopre che l’esame sarebbe stato gestito in modo truffaldino, giustificato – si fa per dire – dall’eccellenza del candidato (e del suo reddito).
La nostra normativa in materia di cittadinanza è la più restrittiva dell’Europa occidentale e appare sempre più obsoleta di fronte alla crescita di un popolo di italiani di fatto, ma non di diritto.

Se ora il caso Suarez servisse a rilanciare una seria discussione sul tema, non sarebbe soltanto da archiviare come un deplorevole episodio da repubblica delle banane.

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