L'unità è un cammino insieme verso Gesù
sabato 29 ottobre 2016

«Non dobbiamo lasciarci guidare dall’intento di ergerci a giudici della storia, ma unicamente da quello di comprendere meglio gli eventi e di diventare portatori di verità». Così diceva il 31 ottobre del 1983 Giovanni Paolo II nel messaggio al cardinale Johannes Willebrands, allora presidente del Segretariato per l’unità dei cristiani. La verità è che «senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Questo è il Vangelo. E questo vuol dire mettere al centro la verità fondamentale che «senza la Sua grazia non possiamo nulla» come ha ripetuto papa Francesco dalla Pasqua del 2013. L’esperienza stessa di Martin Lutero interpella e ricorda che non possiamo fare nulla senza la Sua grazia: «Come posso avere un Dio misericordioso?», si chiedeva. La preminenza della grazia è una verità fondamentale necessaria per la vita cristiana, per la vita stessa della Chiesa, perché senza la fiducia nella grazia di Cristo non possiamo costruire la Chiesa. Non si può neanche progredire ecumenicamente verso l’unità voluta da Cristo.

Il primo aspetto da rilevare in questo viaggio ecumenico del Papa a Lund in Svezia il prossimo 31 ottobre è perciò che la prima storica commemorazione congiunta tra cattolici e luterani della Riforma non sarebbe stata possibile senza questo comune riconoscimento del punto essenziale della salvezza, della verità fondamentale della fede. Non sarebbe stata possibile senza la sottoscrizione comune della Dichiarazione sulla giustificazione firmata ad Augusta nel 1999 e che comprende anche un diverso sguardo sulla storia e le ferite del divorzio tra cattolici e luterani compiuto cinque secoli fa, a cui ha portato un cammino ecumenico di dialogo teologico luterano-cattolico lungo cinquant’anni, nato sotto l’impulso della grazia del Vaticano II. La dichiarazione congiunta afferma al paragrafo 15: «Insieme confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere buone opere». Togliere le incrostazioni che hanno fatto il male delle divisioni per ritornare a questo essenziale, è stato il lavoro che ha fatto compiere un balzo in avanti enorme nei rapporti reciproci, e che mette in luce anche il valore autentico del cammino ecumenico, perché questo cammino prima di andare verso l’altro è prima di tutto un cammino di conversione di ciascuna Chiesa, per le singole Chiese verso l’essenziale della fede, un cammino di purificazione dalle proprie incrostazioni, di approfondimento e quindi di ressourcement, di risalita alle sorgenti.

Prima di un andare verso l’altro, l’ecumenismo è un andare verso Cristo, è convertirsi, andare «verso i sentimenti del Suo cuore», conformarsi ai Suoi sentimenti, affinché tutta «la nostra esistenza sia coerente con il Vangelo che annunciamo». L’ecumenismo, che è oggi un cammino irreversibile della Chiesa, ci chiama così in causa per primi come ricerca condivisa della volontà di Cristo, un processo di guarigione e di riconciliazione ed implica una riforma interna svincolata da ogni autosufficienza e autodifesa preconcetta. È perciò andando avanti su questa strada che si può riscoprire l’unità chiesta al Padre da Cristo stesso. Il cammino ecumenico può avanzare proprio nell’approfondimento, nel ritornare all’essenziale per riscoprire la natura di ciò che unisce, e questo quindi è un bene prima di tutto per noi cattolici, perché il tornare all’essenziale delle cose è la salvezza della Chiesa. D’altra parte papa Francesco come i suoi immediati predecessori è consapevole del fatto che le divisioni tra le Chiese cristiane sono avvenute «principalmente non a causa di questioni teologiche dottrinali, ma a causa di un progressivo allontanamento a livello di mentalità e di cultura, per il potere».

È stato, questo, spiegava nel 2007 Papa Ratzinger, «l’errore dell’età confessionale», l’aver visto «per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo per me il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro comune fondamento imperituro». L’ecumenismo, insieme alla missione, costituisce il compito principale del popolo di Dio in cammino nella storia e sarà così possibile infrangere una falsa autosufficienza e superare l’estraneità. Il secondo aspetto di questo viaggio ecumenico è dunque per sottolineare la gratitudine per il superamento del conflitto e delle rivalità del passato. Il terzo è la presenza del Papa come consolidamento del nuovo rapporto riconciliato fra cattolici e luterani e con altre Chiese protestanti, per chiarire e affermare a tutti le nuove possibilità di lavorare insieme per la predicazione del Vangelo al servizio dell’umanità. E questo è l’ecumenismo pratico.

Se infatti sarà lo Spirito Santo fare la grazia della piena unità, nel frattempo «bisogna pregare, amarci e lavorare insieme, soprattutto per i poveri, per la gente che soffre, per la pace e tante altre cose, contro lo sfruttamento della gente... Tante cose per le quali si può lavorare congiuntamente». «Parlare, pregare, lavorare insieme: questo è il cammino che dobbiamo fare», ha ribadito ieri anche nell’intervista alla Civiltà Cattolica. In questa incentrata soprattutto sulla realtà dell’"ecumenismo in cammino", si tratta di gesti, parole e incontri all’insegna del coraggio e della speranza, della pazienza e del sentire comune, che hanno fin qui segnato l’iter di Francesco con le diverse Chiese dei battezzati in Cristo e che si ripeteranno, mostrando come egli aveva annunciato e promesso all’inizio del suo pontificato, che l’impegno ecumenico fa parte delle priorità del suo ministero. Anzi, in assoluta continuità con i suoi predecessori nel ministero petrino, da Giovanni XXIII e dal Concilio in poi, egli esercita un primato ecumenico e lo fa nella convinzione che la dimensione del dialogo ecumenico è un aspetto essenziale nel ministero del Vescovo di Roma, di colui che «presiede nella carità», «tanto che oggi non si comprenderebbe pienamente il servizio petrino senza includervi questa apertura al dialogo con tutti i credenti in Cristo», come espresso nell’omelia dei vespri nella solennità della Conversione di san Paolo apostolo, il 25 gennaio 2014.

Egli riporta alla coscienza comune – non solo quindi come occupazione degli specialisti – il desiderio dell’unità. Risveglia la coscienza del dolore della divisione, delle ferite che ci siamo inferti reciprocamente e abbiamo inferto ad altri e in definitiva a Cristo stesso, nella consapevolezza che la divisione dei cristiani è un peccato e uno scandalo evidente che va a scapito della testimonianza resa al Vangelo di Cristo, come è detto chiaramente nella Unitatis redintegratio. Rimette in luce come il dialogo ecumenico non sia una disputa ma uno «scambio di doni» – come lo ha definito da Giovanni Paolo II – con i quali arricchirsi gli uni gli altri e dai quali dobbiamo imparare. E che nel comune battesimo che unisce i cristiani essi possono insieme promuovere la pace e la giustizia, la dignità umana: «Noi cristiani possiamo annunciare a tutti la forza del Vangelo impegnandoci a condividere le opere di misericordia corporali e spirituali. Questa è una testimonianza concreta di unità fra noi cristiani: protestanti, ortodossi e cattolici». In questo senso si ascrivono e sono una provocazione e una testimonianza i frequenti viaggi ecumenici che ha voluto compiere proprio in questo anno del giubileo della misericordia, del quale questo è l’ultimo in prossimità della sua chiusura. Dopo la visita in settembre in Georgia ed Azerbaigian e gli incontri con i patriarchi ortodossi locali, il trentennale dello Spirito di Assisi, l’incontro a Roma con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Eventi che rivestono per molti aspetti tutti un’importanza storica come il recente viaggio in Caucaso, e prima ancora in Armenia, uniti all’epocale incontro tra il Vescovo di Roma e il patriarca ortodosso di Mosca Kirill all’Avana il 12 febbraio scorso e poi con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e con quello di Atene, Hierònymos a Lesbo il 16 aprile.

Sono tracciati di uno stesso taccuino di viaggio che tesse l’impegno ecumenico in stretto legame con la misericordia e le sue opere nell’anno del suo giubileo straordinario. Un incoraggiamento per tutti i cristiani a proseguire sul cammino dell’unità, nella convinzione da lui espressa con queste parole nel gennaio 2014: «L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino. Per questo i cristiani devono camminare insieme, devono operare insieme nel mondo, devono pregare gli uni per gli altri, così da chiedere di poter essere tutti rivestiti dei sentimenti di Cristo, per poter camminare verso l’unità da lui voluta. E camminare insieme è già fare unità». E lo ha ridetto di recente anche alla delegazione luterana: «L’ecumenismo si fa in cammino con Gesù, non con il mio Gesù contro il tuo Gesù, ma con il nostro Gesù. Il cammino è semplice: si fa con la preghiera e con l’aiuto agli altri. Pregare insieme: l’ecumenismo della preghiera, gli uni per gli altri e tutti per l’unità. E poi, l’ecumenismo del lavoro per tanti bisognosi, per tanti uomini e donne che oggi soffrono ingiustizie, guerre; queste cose terribili. Tutti insieme dobbiamo aiutare. La carità verso il prossimo. Questo è ecumenismo. Questa è già unità». Questo è il messaggio di Lund.

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