martedì 12 luglio 2016
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Ci sono diversi elementi degni di nota nella nomina dei nuovi vertici della Sala Stampa vaticana, operata ieri dal Papa. Innanzitutto il fatto che il direttore, Greg Burke, e la sua vice, Paloma García Ovejero, siano due laici e due sessi. Quest’ultima è una novità assoluta: mai prima d’ora, infatti, una donna aveva svolto un simile incarico all’interno della Santa Sede. Quindi la loro origine geografica (statunitense il primo, spagnola la seconda, rappresentanti dunque delle due aree linguistiche più diffuse nel mondo) e il loro curriculum professionale (Burke ha operato per gran parte della sua carriera in media laici, Garcìa Ovejero proviene da una radio cattolica). E infine quell’incrocio di continenti - l’America che ha dato i natali a papa Francesco e l’Europa culla del cristianesimo - che è anche un incrocio tra le due culture testimoniate dalla stessa storia personale del Pontefice. Una sensazione, questa, rafforzata anche dal fatto che in rappresentanza degli europei è stata scelta (sicuramente non a caso) una figlia della Spagna, cioè della nazione che più di ogni altra ha contribuito al formarsi dell’identità socio-religiosoidiomatica dell’America Latina.  Tuttavia, al di là dei singoli aspetti, tutti senz’altro importanti, Francesco ha dato alla sua decisione una dimensione ulteriore e più ampia, che in un certo senso quegli elementi tiene insieme e trascende, facendone emergere l’anima profondamente ecclesiale, o come ha detto ieri, in sede di presentazione della notizia, il prefetto della segreteria per la Comunicazione, monsignor Dario Viganò, «l’ermeneutica spirituale». In altri termini la dimensione di servizio alla Chiesa e al magistero del Pontefice. Burke e Garcìa Ovejero non erano certo gli unici candidati alla carica di direttore e vice direttore della Sala Stampa vaticana. Ma alla fine, dopo un lungo discernimento accompagnato dalla preghiera e dal confronto con i suoi collaboratori (come sempre avviene da parte di papa Francesco), la scelta è caduta su di loro perché più di tutti gli altri incarnano l’idea di una Sala Stampa universale, a servizio della ontologica, indispensabile universalità del ministero petrino. I nuovi vertici, però, non partono certo da zero. Nella Chiesa gli elementi di continuità e quelli di necessaria innovazione sono sempre inestricabilmente complementari. Greg e Paloma potranno contare sulla grande eredità professionale, umana e spirituale di padre Federico Lombardi, che lascerà il suo incarico il 31 luglio prossimo, giorno conclusivo della Gmg di Cracovia, ultimo grande evento da comunicare dei suoi dieci anni alla guida della Sala Stampa (decisione che rivela una volta di più la sensibilità e la gratitudine di Papa Francesco verso uno dei suoi più fidati collaboratori). Non sono stati dieci anni facili per la Barca di Pietro, scossa da grandi tempeste come lo scandalo dei preti pedofili, le bufere mediatiche e i processi Vatileaks1 e Vatileaks 2, la crisi seguita alla remissione delle scomuniche ai vescovi lefebvriani, tra i quali c’era anche il negazionista della Shoà, Richard Williamson. Anni segnati anche da eventi eccezionali, come la rinuncia di Benedetto XVI, e poi dall’avvento del primo Papa latinoamericano della storia. Padre Lombardi ha governato la Sala Stampa della Santa Sede con un mix di umiltà e pacatezza, non disgiunte però dalla necessaria fermezza e da un pizzico di sottile ironia, con cui ha spesso sdrammatizzato anche i momenti di maggiore tensione. Sempre gentile, sempre disponibile con tutti, non ha mai dovuto andare sopra le righe per far presente il punto di vista della Chiesa e dei due Papi, al cui servizio si è posto totalmente e incondizionatamente ogni giorno del suo mandato. Perciò, come ha riconosciuto ieri Viganò, egli lascia a chi gli succede «una visione capace di tenere insieme le differenze, che non sono luoghi dell’inimicizia, ma semplicemente l’arricchimento della Chiesa, che è appunto cattolica, cioè universale». La sua eredità, dunque, si sposa bene con la mission della 'nuova' Sala Stampa. E ne costituisce una dote preziosa che anche Burke e Garcia Ovejero, fin dalle prime dichiarazioni, hanno assicurato di voler fare propria.
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