Quando si trattò di presentare la regola della sua congregazione, con la proverbiale serenità san Filippo Neri rispose deciso a papa Gregorio XIII: «Santità, per farsi obbedire bastano poche regole. Io ne ho scelto una sola: la carità». Papa Francesco con il suo discorso ieri alla Curia romana non è stato da meno. Ne ha scelta una sola per dire ai curiali che la riforma è ritorno all’essenziale e sono necessarie le virtù per viverla e attuarla.
E che queste virtù sono tutte comprese in una sola parola nella quale è contenuto lo spirito di servizio di chi ha responsabilità e anche i criteri di giudizio nelle cose concrete: la misericordia. Così per far presente alla memoria che la Chiesa vive e si rinnova nella ricorrente, consapevole esperienza di «non poter far nulla senza la grazia di Dio» e far presenti «le virtù necessarie» per chi «presta servizio in Curia» e per tutti quelli che vogliono «rendere fertile il loro servizio alla Chiesa, affinché essa sia conforme al Vangelo», ha preso la parola misericordia e ne ha fatto un acrostico. Dalla "m" di "missione" alla "a", di "affidabilità", articolando il "catalogo delle virtù" sulle dodici lettere che la compongono, come «sussidio pratico inesaustivo».
Non è la prima volta che Francesco fa ricorso alla tecnica linguistica e letteraria dell’acrostico come espediente pedagogico e mnemonico. Nel discorso a conclusione dei lavori del Sinodo dei vescovi, lo scorso ottobre, in nota al testo egli ha proposto un’analisi acrostica della parola "famiglia". Allo stesso modo l’acrostico ideato ieri da Bergoglio, composto da una sequenza di definizioni per ogni lettera della parola sui punti cardine, è una sintesi puntuale e facilmente memorizzabile che aiuta a riassumere la missione e il modo di essere e operare della e nella Chiesa.
E di questa tecnica antichissima, che ebbe successo anche nella vita religiosa, ieri, parlando ai curiali a braccio ha ricordato che era utilizzata da Matteo Ricci: il gesuita ne fece infatti uso anche per entrare in rapporto con la classe dei letterati dell’impero cinese. Le coppie delle 24 virtù elencate sulla misericordia si offrono oggi non come pio auspicio ma lucida e determinata sollecitudine a conformare concretamente anche le dinamiche di governo della Chiesa al Vangelo. Nella consapevolezza che «la carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità diventa giudiziarismo cieco», è necessario «agire con sincerità assoluta con noi stessi e con Dio», non «spadroneggiare» perché «siamo manovali, non capomastri, servitori, non messia», come ha ricordato citando una preghiera dedicata al beato Oscar Romero dal cardinale statunitense Dearden.
Ha quindi sottolineato che «le resistenze, le fatiche e le cadute delle persone e dei ministri» sono anche «lezioni» e «occasioni di crescita e mai di scoraggiamento». Anzi, sono «un’opportunità per tornare all’essenziale». «Tornare all’essenziale – ha detto Francesco – significa fare i conti con la consapevolezza che abbiamo di noi stessi, di Dio, del prossimo, del "sensus Ecclesiae" e del "sensus fidei">», e questo vuol dire entrare nell’esperienza del dono della misericordia, la quale costituisce «per tutti noi un forte richiamo alla gratitudine, alla conversione, al rinnovamento, alla penitenza e alla riconciliazione».
Così, se nel discorso alla Curia romana del dicembre 2014 Francesco aveva descritto diagnosi e «antibiotici» per le 15 «malattie» che colpiscono la vita dei dicasteri vaticani e rappresentano «un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale», un anno dopo, davanti ai curiali del 2015, il Successore di Pietro stende le virtù necessarie sapendo che non è sufficiente conoscere il male per eliminarlo né conoscere le virtù per esercitarle. I due discorsi rappresentano un dittico. Seppure distinti, sono uniti da uno stretto ordito di richiami interni. E mostrano lo stesso sguardo sul cuore della Chiesa.
La pace e la serenità con cui papa Francesco affronta difficoltà e ostacoli sono essi stessi indizi non secondari della autenticità del cammino intrapreso per andare con ignaziano coraggio avanti nella via del bene.
Di questa prontezza operosa, di questa disposizione fattiva al lavoro, egli stesso è esempio. E i medesimi caratteri appaiono impressi nel processo di rinnovamento che sta favorendo nella Curia. «La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza – ha detto ai curiali – perché "Ecclesia semper reformanda" ». Una certezza serena, non supponente, che non appare messa in crisi neppure dagli scandali. Ciò significa che per papa Francesco la riforma non è il simulacro di qualche idealismo ma il frutto dell’esperienza gratuita della misericordia, «colonna portante del nostro operare», che può suggerire cosa occorre cambiare per far emergere con più trasparenza la natura propria della Chiesa, in vista della missione a cui essa è chiamata.