Una politica e una scuola che «svuotano» i giovani
giovedì 29 marzo 2018

La presa d’atto della svolta nel rapporto tra cattolici e politica, con le elezioni del 4 marzo, può ritenersi conclusiva. Forse la riflessione più completa è quella di Francesco D’Agostino il quale, con rapida sintesi storica, ha evocato alcune fasi di questo rapporto, le sue difficoltà e realizzazioni. L’evidenza della crisi attuale poggia almeno su due fattori. Sulla sostanziale irrilevanza di una presenza cattolica 'organizzata' nelle sedi politiche. E sulla constatazione che insistere oggi per ottenere modifiche normative su questioni valoriali sta diventando quasi inutile.

Meglio, dunque, che i cattolici s’impegnino per «elaborare visioni del mondo compatibili con le dinamiche sociali del presente». Meglio non operare sul terreno delle norme: più che nel «dare ai valori concretezza normativa, (essi) devono agire per dare concretezza valoriale alle norme». In un commento analogo, ma non sovrapponibile, Francesco Belletti ha richiamato la necessità che al centro dell’azione dei cattolici torni il grande tema della «sussidiarietà». Ciò vuol dire «valorizzare e promuovere la capacità di auto-organizzazione della società, riconoscere l’associazionismo, il volontariato, le esperienze di auto-mutuo-aiuto: tutti gesti politici, tutte azioni che cambiano il volto di una comunità, spesso nel faticoso lavoro delle relazioni brevi». Occorre attivare «una vera politica di servizio, che usa il proprio potere per fare spazio ad altri mondi vitali».

La tesi di fondo, che anima le due analisi, non è controvertibile, anche perché i risultati politici sembrano quasi totalitari. E la riflessione, come in altri momenti di svolta nella storia del cattolicesimo italiano, cerca di individuare le cause di quanto accaduto, i nuovi terreni d’impegno per un rapporto vitale tra cattolici e società. È il caso allora d’osservare che, oltre alla tradizione del cattolicesimo democratico, è entrato in crisi un certo modo di fare politica, come punto di riferimento e attrazione ideale, come spinta alla strutturazione della società, realizzazione di un disegno ambizioso. Specularmente, la crisi della sinistra che è davanti a tutti ne è un’altra prova deflagrante. Il Partito più organizzato, strutturato, anche ideologicamente radicato nella storia italiana del Novecento, a lungo con maggiori adesioni tra i giovani, si trova oggi a fare i conti con uno svuotamento di giovani, di donne, di ceti deboli, cioè deve ricominciare da capo. Ciò vuol dire che, pur tenendo ferme le diversità, si sono consunti i grandi soggetti politici che hanno dato vita alla Repubblica, alla Costituzione, alla rinascita e crescita dell’Italia dell’ultimo secolo.

La profondità dei cambiamenti evoca grandi temi pre-politici, anzitutto quello da sempre connesso all’impegno dei cattolici (e non solo) nella storia italiana unitaria, il rapporto tra famiglia e scuola, in grado di elaborare e realizzare un grande progetto di formazione delle nuove generazioni. Si tratta di un tema reso ancora più urgente per il prevalere di un relativismo che, sia detto per inciso, in Italia riesce a graffiare e far guasti meno che altrove, proprio in virtù di quel pathos formativo ed educativo che è nel Dna del cattolicesimo e della sua identità spirituale. Scuola e famiglia sono i luoghi dove la capacità formativa cattolica ha dato il meglio di sé, sempre e ovunque, sono il terreno d’investimento di più lungo respiro. Pochi, pochissimi, si sono interrogati sul voto dei giovani, se non per segnalare frettolosamente la distanza siderale di tanti di loro non solo dalla sinistra e dalle cosiddette forze progressiste, ma dalle fonti ideali che erano base di una vasta cultura politica. Però, se non vogliamo cedere a banali luoghi comuni, dobbiamo riflettere: ci siamo mai chiesti cosa contenga l’universo dei giovani cresciuti negli ultimi 20-30 anni in Italia.

Conosciamo qualcosa di questi giovani, di quale cultura si sono nutriti. Abbiamo mai cercato davvero di conoscerli, incontrali, camminare con loro? Sul piano politico, del vero protagonismo, essi sono silenziosi, ma questo silenzio sembra non interessare.

A volte crediamo che i giovani siano quasi la copia di noi stessi, li vediamo in retro-prospettiva come a una generazione che succede alle altre, con le stesse conoscenze, ambizioni e desideri di chi li ha preceduti. Ma non è così, i ragazzi hanno le potenzialità naturali che avevamo noi, ma il loro sviluppo appartiene a un altro tempo, e dipende da ciò che diamo loro, ciò che la famiglia, la scuola, la società fornisce per crescere e svilupparsi. Però, se la scuola è privata poco a poco della sua funzione educativa, finisce per costituire un mondo privo di valori, se la famiglia non svolge il suo ruolo perché le viene impedito, facciamo attenzione, i giovani sono derubati di ciò cui hanno diritto. Quasi un amalgama d’indifferentismo e relativismo scava da tempo per impoverire la scuola e aggredire, come mai era avvenuto, le basi genitoriali della dimensione educativa. Vengono propagandate e acriticamente diffuse teorie "neutre" sull’identità affettiva della persona. I contenuti formativi sono svuotati e sostituiti da un mercato della conoscenza ispirato a un estremismo liberista: viene meno il concetto di persona intesa come formazione culturale complessa e completa, frutto di una fatica feconda e gioiosa da parte di bambini e di giovani. Esemplificare gli studi porta ad appiattire il sapere e le conoscenze, banalizzarle, fin quasi a vanificare ogni sforzo che fa lievitare l’orgoglio e la voglia di realizzazione di sé. La scuola dovrebbe essere altra cosa, una palestra nella quale si favoriscono e promuovono le diverse dimensioni della persona, si alimenta quell’entusiasmo che porta i giovani ad agire come protagonisti della società.Tutto ciò non è lontano dalla politica, perché nel vuoto dei valori tutti, alla fine, sono perdenti, può inaridirsi anche l’impulso all’impegno politico che è luogo di sintesi di tante cose, conoscenza, capacità critica, volontà di cambiamento. Può sembrare, questo, un progetto di lunga scadenza, che incida poco sulla realtà di oggi. Ma è proprio questo che manca da tempo, una capacità progettuale che prepari il domani.

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