giovedì 15 maggio 2014
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Il 13 maggio con un atto di enorme importanza il governo ha pubblicato le linee guida per la riforma del Terzo Settore aprendo una consultazione pubblica nella quale si chiede ai cittadini italiani di far pervenire entro un mese i propri consigli e suggerimenti.   L’introduzione del documento governativo è l’efficace sintesi di una visione nuova, impostata sui princìpi cardine dell’economia civile e che tiene conto del recente progresso e allargamento di orizzonti della disciplina economica. Superando i 'riduzionismi' di persona, impresa e valore si riconosce il ruolo fondamentale del capitale sociale e dei beni relazionali per la costruzione di un’economia orientata al «bene comune». E si sottolinea il ruolo chiave che una realtà terza di organizzazioni produttive né pubbliche né private e massimizzatrici di profitto può svolgere in tale ambito. Passando da una logica 'a due fasi', nella quale si crea valore economico producendo effetti esterni sociali e ambientali negativi cui il Terzo Settore e la filantropia devono porre rimedio, a una logica 'unitaria' per la quale il valore economico è già creato in modo socialmente e ambientalmente sostenibile. Le linee guida sono ricchissime e su alcuni punti chiave (Servizio civile universale, riforma del titolo 1 del Codice civile) altri commentatori su questo giornale si sono già soffermati.  Il punto del documento che qui preme sottolineare è quello dove si parla di definizione di un trattamento fiscale di favore per 'titoli finanziari etici', così da premiare quei cittadini che investono nella finanza etica i loro risparmi. La questione è ovviamente controversa e destinata a suscitare ampie discussioni se pensiamo a quanto accaduto nel nostro Paese con le fonti rinnovabili, prima soggette ad ampie agevolazioni, successivamente ridotte, che hanno comunque favorito l’enorme crescita del settore. La finanza 'etica' è composta dalle attività finanziarie di banche etiche, microfinanza e fondi d’investimento eticamente orientati che 'votano col portafoglio' investendo in azioni di imprese che superano standard minimi di responsabilità sociale e ambientale.  È bene chiarire subito un punto: la finanza etica (soprattutto se guardiamo a banche etiche e fondi d’investimento etici) non ha bisogno di incentivi pubblici per competere con la finanza tradizionale. È la società che ha bisogno di una finanza etica più forte per poter progredire verso un maggior bene comune. I dati europei di confronto tra grandi banche sistemiche e banche etiche mondiali evidenziano infatti come nel corso degli ultimi anni le banche etiche abbiano avuto performance migliori delle banche tradizionali. Utilizzano una percentuale decisamente maggiore dei propri attivi nell’attività di credito tradizionale (impieghi e depositi) piuttosto che in attività speculative e risultano persino più capitalizzate. In Italia, Banca Etica vanta oggi una quota di crediti in sofferenza sul totale (inferiore al 2%) di gran lunga al di sotto della media nazionale che viaggia attorno all’8% e ha al suo interno quasi la metà di clienti cui il credito è stato rifiutato da altre banche. Gli studi che confrontano la performance dei fondi d’investimento etici con quelli tradizionali confermano che non esistono differenze sistematiche di rendimento tra le due tipologie contraddicendo l’opinione comune che l’investimento nei fondi etici comporti un sacrificio per l’investitore. E questo è evidenziato, tra gli altri, da un lavoro di ricerca su circa 23.000 fondi effettuato anche da chi scrive (con Ciciretti, Hertzel e Dalo) tra il 1992 e il 2012. La società ha enorme bisogno dello sviluppo della finanza etica proprio perché essa si è dimostrata in questi anni più efficiente nell’indirizzare le risorse finanziarie verso quella creazione di valore economico socialmente e ambientalmente sostenibile di cui tutti abbiamo bisogno. Diventando nel caso dei fondi etici che 'votano col portafoglio' per le aziende più sostenibili, un motore e un incentivo al cambiamento formidabile per le imprese profit. Poiché dunque la finanza etica produce molti effetti esterni positivi per la società, eliminando effetti esterni negativi come quelli delle conseguenze delle attività speculative, una sua crescita (non solo interna, ma anche per contagio e conversione di attori tradizionali) è assolutamente desiderabile e auspicabile.  Per l’attuazione dello specifico punto, incentivi fiscali sarebbero assolutamente motivati e produttivi per la collettività. Ma bisognerebbe prendere prima di tutto in considerazione un intervento 'a costo zero', a nostro avviso, ancora più importante. Il vero problema delle attività non profit non sta infatti nella performance, ma in un difetto di cultura e di comunicazione. E questo vale anche per la finanza cooperativa tradizionale, che è assolutamente sottorappresentata in termini di comunicazione rispetto al suo peso reale sul territorio. Scriverlo su Avvenire, che svolge già da anni un gran lavoro su questo fronte culturale e informativo può sembrare strano, ma l’esigenza di allargare il fronte è forte. E il governo potrebbe, senza alcun onere per il bilancio pubblico, agevolare la creazione di occasioni di informazione e di confronto su altri grandi mezzi di comunicazione – a cominciare dal servizio pubblico radiotelevisivo – per illustrare ai cittadini che cosa è la finanza etica e quali opportunità realmente offre. Gli effetti di questo tipo di intervento potrebbero essere dirompenti. Gran parte dei destini della nostra società e democrazia si giocano sul terreno della banca e della finanza. Ed esiste un immenso patrimonio di argomenti e di storie che potrebbe essere valorizzato in un confronto pubblico brillante e aperto al contraddittorio, dunque tutt’altro che noioso e in grado di catturare l’attenzione dell’opinione pubblica, promuovendo allo stesso tempo opportunità di formazione e informazione. 

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