mercoledì 14 maggio 2014
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Il dialogo tra credenti e non credenti non riguarda solo le religioni o il confronto culturale: è necessario per costruire un futuro più degno. Le distanze tra popoli ricchi e poveri, le disuguaglianze che crescono all’interno delle nazioni; uno sviluppo che consuma il Pianeta e sacrifica la dignità della persona; il surriscaldamento climatico; le migrazioni di milioni di essere umani e i rischi per la democrazia, incapace di proiettarsi su scala globale, esigono una convergenza nella costruzione di un’etica condivisa, altri paradigmi per l’organizzazione economica e sociale delle nostre società.Le narrazioni degli ultimi due secoli ci consegnano un uomo più consapevole delle sue fragilità e potenzialità e fedi religiose che individuano, come ha fatto Papa Francesco, nel primato della coscienza il riferimento etico comune a credenti e non credenti. Per un credente nella coscienza si incontra la luce di Dio, il discernimento per il retto agire; per un non credente nella coscienza si individua ciò che è il bene e ciò che è il male. Questa base etica comune non è sottovalutabile: su di essa si fonda la libertà e responsabilità della persona.Il dialogo, se vero, rinuncia alla pretesa che niente nel confronto con gli altri sia in me immutabile, che gli altri debbano soltanto prendere atto delle mie verità: il dialogo può farci cambiare e non se ne deve avere paura.Partiamo da un punto di diversità nella concezione della vita propria dei non credenti e dei credenti: per un non credente siamo frutto dell’evoluzione della specie, di un progressivo, talora casuale, emanciparci dalla forma animale, con l’acquisizione dell’intelligenza, cioè della capacità di pensare. Il genere umano, prima o poi, verrà meno e con esso scomparirà anche Dio. Per un credente l’evoluzione è una verità scientifica, ma Dio è all’inizio di tutto, nel cuore di ogni essere vivente, alla fine non solo del nostro percorso individuale ma della storia umana. Dio non scompare con l’umanità ma nella fede dei credenti dona ad essa una vita nuova, in una realtà che l’amore rende più forte della morte.Una distanza abissale separa queste due convinzioni, che nel dialogo devono però trovare un terreno su cui sviluppare una condivisione. Per un credente ciò significa riuscire a trasporre le verità di fede, che per lui valgono in quanto rivelate, su un piano il cui accesso sia aperto a quanti non ne condividano il fondamento religioso. Papa Francesco ci dice: «In questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza... L’incertezza si ha in ogni vero discernimento che è aperto alla conferma della consolazione spirituale». Per un non credente si tratta di porsi le domande sul fondamento etico della vita, sulle responsabilità che l’accompagnano, sulla colpa e il perdono, sulla possibilità di una lettura comune con chi dà a essi un fondamento religioso. Di nuovo la coscienza torna in primo piano: guida la persona nelle scelte del suo cammino, ricercando ogni volta l’equilibrio tra libertà e responsabilità.È necessario costruire una nuova etica mondiale, condivisa da credenti e non credenti. Le priorità sono rappresentate dalla dignità di ogni persona, soggetto e non oggetto-merce nell’economia, nella scienza, nella democrazia; da uno sviluppo che unisca qualità sociale e sostenibilità ambientale; dalla non violenza che, insieme alla giustizia, può realizzare un avvenire di pace. I valori di un’etica mondiale condivisa definiscono, per me, un nuovo umanesimo che reca in sé il bisogno, per realizzarsi, di una discontinuità con il passato, di un perdono reciproco tra i popoli, unito al rifiuto della violenza, dell’aggressione agli altri uomini e all’ambiente. Su questo patto di riconciliazione si può costruire la fiducia nel futuro.
 
Testo tratto dal libro Tra terra e cielo. Credenti e non credenti nella società globale(Giunti Editore)
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