giovedì 10 gennaio 2013
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Con la competizione elettorale che entra nel vivo il fervore riformista cresce e ci riempie di programmi ed agende. Le patologie che dobbiamo curare per fermare il declino ed invertire la rotta sono molte. Corruzione, eccesso di burocrazia, evasione ed elusione, infiltrazioni della criminalità, mancanza di speranza nel futuro che frena la propensione a creare imprese e famiglie sono problemi che non si risolvono però soltanto con interventi della Bce, politiche macroeconomiche, nuove regole e sanzioni severe. I fiumi di liquidità che inondano le economie mondiali sono palliativi che attenuano gli effetti ma non curano le cause profonde di questi mali. Non basta occuparsi nelle agende dell’ingegneria delle riforme sociali perché il loro successo dipende crucialmente dalla propensione dei cittadini a comportamenti socialmente virtuosi tale da minimizzare i tentativi di aggiramento ed elusione delle regole che verranno.Da tempo gli economisti hanno infatti individuato che, dal lato dei cittadini e dei loro comportamenti, la risorsa più preziosa di cui i sistemi socioeconomici hanno bisogno è il capitale sociale. Il capitale sociale è un concetto contenitore che raccoglie un insieme di fattori quali il senso civico, la fiducia nelle istituzioni e la propensione a dare e ad essere meritevoli di fiducia nei rapporti interpersonali. Poiché tutti i rapporti tra individui in società si sviluppano nella nebbia dell’informazione imperfetta o incompleta e senza la tutela di contratti perfetti in grado di garantire le controparti da ogni possibile fattispecie di comportamento opportunista (per non parlare poi dei limiti della giustizia civile), il capitale sociale è il collante che tiene insieme la società, e la fiducia che lo alimenta può a buon grado essere considerata il fluidificante delle relazioni umane.Le scienze sociali hanno imparato a misurare con una certa affidabilità questa risorsa invisibile attraverso esperimenti di laboratorio o misurando alcune variabili che lo approssimano con una certa precisione quali le donazioni di sangue, la quota di cittadini aventi diritto che va a votare e il numero di volontari o associazioni di volontariato. L’insieme delle rilevazioni di cui disponiamo ci offre una mappa piuttosto dettagliata del capitale sociale del nostro paese individuando una sensibile eterogeneità tra regioni dove anche le persone più lontane dalla politica hanno uno spiccato senso civico ed altre nelle quali tale senso civico non possiamo aspettarcelo nemmeno dalla classe politica più qualificata.La questione delle questioni è dunque se il capitale sociale è una stratificazione immutabile, fissatasi in periodi storici remoti, oppure è possibile elaborare delle strategie in grado di far crescere questa preziosa risorsa. La seconda ipotesi è avvalorata da molti studi recenti. Il capitale sociale dipende in modo significativo dal livello di scolarizzazione di un paese, dall’esempio della leadership politica (i mutamenti recenti del quadro politico nazionale qui ci danno qualche buona speranza), dalla vivacità e dalla forza della società civile e dalle organizzazioni di volontariato e persino dalle caratteristiche della nostra professione e delle attività del tempo libero.Facciamo solo due esempi che conosciamo personalmente sugli ultimi due punti. Da circa 10 anni un organizzazione che si chiama Progetto Quadrifoglio della Lega Missionaria Studenti ha portato a  fare esperienze di volontariato in campi di solidarietà all’estero circa 2000 ragazzi. Il vero miracolo non è stato tanto il contributo dei ragazzi alle realtà problematiche (case famiglia, ospedali psichiatrici, ospizi per anziani) nelle quali hanno svolto il loro servizio quanto l’effetto di questa esperienza sulle loro vite. Per questo tale esperienza è stata ribattezzata "fabbrica di capitale sociale". Presumo che lo stesso accada in tantissime esperienze analoghe di organizzazioni confessionali e no.Il noto detto "dimmi cosa fai e ti dirò chi sei" aiuta ad illustrare l’ultimo punto. Akerlof e Shiller si domandano se i comportamenti opportunisti sui mercati finanziari che hanno scatenato la crisi mondiale non dipendano dal fatto che sempre meno americani giocano a bridge e sempre più americani sono affetti da ludopatie contratte per la prolungata pratica di giochi solitari d’azzardo. In un esperimento su giochi di fiducia che abbiamo recentemente pubblicato dimostriamo come i giocatori di bridge sono significativamente più propensi a comportamenti cooperativi e che questo dipende dal loro allenamento all’elaborazione di strategie di squadra con il partner con cui giocano. In questo i giocatori di bridge sono simili a quelle popolazioni primitive (i Lamalera in Indonesia) di una nota ricerca di Gintis che dimostra in un esperimento che il tipo di attività di lavoro principale influenza in modo decisivo il capitale sociale. È dura per gli scienziati sociali che hanno cullato per anni il sogno di un’ingegneria sociale asettica dove bastava la formula elegante a risolvere il problema, doversi sporcare le mani con la questione delle virtù civiche dei cittadini e di come alimentarle. Ma è questa la questione decisiva dei prossimi anni e su questo punto i programmi e le agende devono avere maggiore fantasia e il coraggio di parlare più chiaro.
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