Italia, Europa e veri nodi del lavoro
giovedì 15 giugno 2017

Il dato sul record di occupati in Europa rilasciato ieri da Eurostat (234,2 milioni) non deve trarre in inganno e non segna la soluzione di tutti i mali. È intanto una somma degli occupati del Nord e del Sud dell’Eurozona e sappiamo bene che il problema dell’area è stato proprio sino a oggi quello delle asimmetrie e disparità territoriali. L’apparente contraddizione tra il progresso (non il record) del numero di occupati anche nello specifico del nostro Paese (che ci lascia comunque agli ultimi posti dell’Eurozona) e la crescita dei poveri si spiega con una quota importante di sottoccupati e di lavoratori poveri.


È stata la stessa Banca centrale europea qualche tempo fa a sottolineare quanto sia serio il problema per l’Europa intera, suggerendo di cambiare indicatori e sostenendo che a coloro che cercano lavoro e non lo trovano (i disoccupati appunto) vanno aggiunti gli inattivi scoraggiati (chi non cerca più perché pensa di non poter trovare) e i sottoccupati o chi è involontariamente in part-time, ovvero lavora poco e vorrebbe lavorare di più.


Per un progresso più sostanziale che promuova la dignità del lavoro bisogna avere innanzitutto una direzione di marcia. L’Italia oggi è all’avanguardia nell’indicare una meta grazie al lavoro sul Benessere equo e sostenibile (Bes) i cui indicatori sono diventati riferimento per lo stesso Documento di economia e finanza (Def) del governo. Se vogliamo andare ancora più a fondo la definizione di bene comune come «insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona» (Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 51, anno 1960) appare ancora più centrale. Il vero obiettivo deve essere quello di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alle persone di realizzare la fioritura della propria vita. Vengono in mente i dati recentemente presentati da Alessandro Rosina che ha sottolineato come i giovani di oggi non siano poi così diversi da quelli delle generazioni che li hanno preceduti. Chi mette su famiglia vorrebbe almeno due figli come in passato, ma sono pochissimi quelli che riescono a farlo per difficoltà economiche e mancanza di lavoro stabile e ben remunerato. Aiutarli a colmare il gap tra realtà e desideri è ciò che vuol dire nello specifico rimuovere ostacoli nell’ambito del lavoro.

Per questo nel percorso “Cercatori di LavOro”, integrato nel cammino delle Settimane sociali dei cattolici, si cerca di articolare risposte concrete alle domande di oggi a partire dal dato empirico. È stato chiesto ai giovani di ogni territorio di individuare le migliori pratiche del Paese, le “risposte” date da 100-200 Olivetti dei nostri giorni e quelle articolate in modo più convincente da amministrazioni e istituti di formazione, riflettendo assieme con loro sulla replicabilità delle buone pratiche (sugli ostacoli incontrati e gli errori che possono essere d’insegnamento ad altri) e su ciò che la politica può e deve fare in proposito. Ne sta uscendo un quadro veramente interessante in grado di fornire stimoli e suggerimenti per passi ulteriori.


Una prima questione ineludibile è quella dei macrofenomeni. C’è bisogno di armonizzazione fiscale per evitare che paradisi fiscali nell’Ue ci sottraggano base fiscale, di investimenti pubblici ad alto moltiplicatore svincolati dalle regole sul patto di stabilità e di una Bce che si ponga statutariamente l’obiettivo della riduzione della disoccupazione. Se infatti Mario Draghi ha fatto di necessità virtù, e ha mosso di fatto in tale direzione versando vino nuovo in otri vecchi, un cambiamento di statuto appare però fondamentale. Quanto al nostro Paese sono quattro gli imperativi fondamentali.


Il primo è rimuovere ostacoli per chi il lavoro lo può creare (significativo che un Papa argentino accusato da alcuni di non capire l’economia di mercato abbia citato, a questo proposito, Luigi Einaudi nel suo discorso all’Ilva di Genova...) guardando a giustizia, banda larga, burocrazia e a tutte quelle misure che possono rilanciare gli investimenti nel Paese.

Il secondo è invertire la rotta di un sistema che alimenta la corsa al ribasso sui costi del lavoro incidendo negativamente sulla dignità delle persone. Su questo fronte miglioramento dell’infrastruttura informativa, forza organizzata del “voto di portafoglio” di consumi e risparmi e rimodulazione dell’Iva per premiare le filiere ad alta dignità di lavoro appaiono direzioni fondamentali da perseguire. Il terzo è ridare dignità agli scartati e agli esclusi, favorendo il reinserimento nel mondo del lavoro (la gestione ottimale del Reddito d’inserimento appena varato dal governo appare da questo punto di vista d’importanza fondamentale).

Il quarto è la promozione di tutto quel nuovo fronte dell’economia rappresentato dall’insieme di arte, cultura, turismo, storia e biodiversità naturale di cui il nostro Paese è ricchissimo e che ancora non riusciamo a valorizzare appieno. Nelle economie del futuro la creazione di valore sarà sempre più realizzata non attraverso la produzione di beni di prima necessità, ma attraverso la capacità di combinare con la fornitura di beni e servizi valori simbolici ed esperienze in grado di soddisfare la domanda di generatività dei cittadini. E su questo ambito per ricchezza di eredità e tradizione l’Italia ha e avrà molto da dire.

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