Un'impronta fraterna nelle comunità online
domenica 30 settembre 2018

L’altra mattina, accendendo l’iPad, ho visto comparire un messaggio che mi informava su quanti minuti di media ero stata davanti allo schermo nell’ultima settimana. Mi sono sentita sorvegliata, e non è stato piacevole. Poco dopo ho fatto visita a una giovane mamma. Il suo bimbo di un anno e mezzo teneva in mano uno smartphone e ballava al suono di una canzoncina per bambini. Mi è sembrato preoccupante anche questo. Il primo motivo di inquietudine va ben oltre la nostra portata: ciò che facciamo finta di non capire nella nostra vita di tutti i giorni – che ogni nostra azione ha conseguenze e lascia tracce – acquista una consistenza inesorabile sul Web. La questione dei Big Data, di tutte le informazioni che sono raccolte a partire dai nostri comportamenti in rete e poi aggregate, rivendute e utilizzate per influenzarci in tutto – dai comportamenti di consumo alle scelte politiche –, è questione di pari gravità del riscaldamento globale del pianeta, e non può essere risolta in un giorno, né dai singoli.

Ma la seconda questione dipende da noi: quanto è comodo, e ormai comune, dare ai bimbi piccoli lo smartphone perché si intrattengano da soli, e quanto è sbagliato! Fin da prima che riescano a parlare li addestriamo ormai a poter fare a meno della relazione – salvo poi lamentarcene quando crescono.

Per questo il tema che papa Francesco propone per la 53esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, in programma il prossimo anno, pare quanto mai opportuno: «'Siamo membra gli uni degli altri' (Ef 4,25). Dalle community alle comunità». Intanto la frase di san Paolo illumina di luce nuova e quanto mai necessaria la scena sociale contemporanea, ossessionata da un’idea di uguaglianza come equivalenza. L’idea più astratta che ci sia, che l’immagine del corpo aiuta a confutare nel modo più concreto ed efficace possibile: il corpo è unità di diversità. Le membra, i tessuti, gli organi... tutto è estremamente differenziato, eppure così armoniosamente legato che se solo una piccolissima parte sta male tutto il corpo ne risente. La differenza è al servizio dell’unità e coopera attivamente alla totalità: se una gamba zoppica l’altra porta il peso. Né autonomia né supremazia, ma cooperazione e sostegno reciproco. In un mondo sociale in cui se non sei all’altezza delle performance richieste diventi scarto – e tutti prima o poi lo saremo – questa immagine è preziosa per riorientare il nostro sguardo sul mondo e gli altri. Comunione nella differenza è il contrario dell’individualismo competitivo e disumano, oltre che esternamente omologato, che ci circonda. È un 'noi' plurale, dove 'diverso' non vuol dire 'nemico' ma capace di portare qualcosa di unico e irrinunciabile al bene comune.

Che differenza c’è tra questa comunione e la community? Non credo che i due termini siano posti in antitesi, come se da una parte stesse il surrogato e dall’altra the real thing. È una logica dualista che non appartiene al Papa, e che continua purtroppo a fare molti danni. (Tra parentesi, visto come sono cambiate le cose, anche l’espressione 'continente digitale' è oggi poco adatta a parlare di una realtà che è sempre più mista, intrecciata nelle sue diverse dimensioni). Le communities sono aggregazioni più o meno temporanee, attorno a una questione di interesse condiviso. Non restano confinate in un mondo incorporeo ma elaborano significati che guidano i comportamenti nella realtà di tutti i giorni, da quelli più banali come le scelte di consumo o di alimentazione fino ad arrivare anche a creare movimenti di opinione attorno a temi delicati e influire sulle agende politiche.

Community/ comunione non è, in altre parole, l’ennesima alternativa dualista tra un virtuale inteso come inautentico e un reale di per sé buono. Il bisogno di community esprime già un rifiuto dell’individualismo egolatrico e del mito dell’autosufficienza, ed è di per sé positivo.

La comunione è però qualcosa in più: 'tutto l’uomo e tutti gli uomini', integrità della persona e inclusione. Nella comunione c’è la fraternità, difficile da fondare se non ci pensiamo figli di uno stesso Padre che ci ama.

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