Un bene abbondante (finora) senza valore? È tempo di consapevolezza
venerdì 17 giugno 2022

Costi ridotti, fonti che sembrano inesauribili, consumi rilevanti. Ora le cose stanno cambiando Milano ha i prezzi più bassi in Italia: meno di un euro al metro cubo. In altre città del nostro Paese, che pure è tra i meno cari in Europa, il costo può essere due, tre volte tanto. Non è facile comprendere bene le ragioni del prezzo dell’acqua, poiché vi incide una quantità di fattori: distanza dei pozzi dai luoghi di fruizione, quantità di perdite delle tubature, costi dell’energia per il pompaggio, tasse, agevolazioni varie, ecc. Si tratta di un bene primario, eppure quasi ovunque bisogna pagarlo: è qualcosa che suona strano, come se si dovesse un giorno arrivare a pagare per respirare l’aria.

Significativo è che il suo consumo viene riconosciuto come un diritto umano universale dalle Nazioni Unite, ma la risoluzione che sancisce tale diritto è stata adottata dall’Assemblea generale solo nel luglio 2010, probabilmente perché nel mondo è in questi ultimi anni che ci si rende conto con crescente urgenza di quanto le risorse idriche adattabili agli usi umani (circa l’1% della quantità totale di acqua del pianeta) possano divenire un bene di sempre più difficile accesso, come conseguenza di diverse cause quali l’ingigantirsi delle concentrazioni urbane, la crescita della popolazione totale, le variazioni climatiche indotte dall’aumento medio delle temperature. Se la si bevesse alle fonti montane da cui sgorga, sarebbe tutto più semplice, e in questo l’Italia, con i suoi tanti declivi alberati e la ricchezza delle precipitazioni (pur in preoccupante declino, specie in questa primavera siccitosa), è un Paese fortunato: probabilmente anche per questo qui da noi i prezzi sono più bassi che altrove. Per paragone, un rapporto del belga De Watergroep firmato nel 2016 da due esperti in statistica, Jan Hammenecker e Ann Bijnens, rendendo conto dei prezzi dell’acqua per usi domestici in 170 città del mondo, indicava che se in Kenya il prezzo medio di un metro cubo era di 50 centesimi di dollaro Usa, a Barcellona si aggirava sui 3,5, a Parigi sui 3,75, a New York 4. La media in Cina risultava di 6,5 dollari e nella danese Odense, la più cara tra le città prese in esame, era di 8 dollari.

A fronte di tali prezzi, i consumi di acqua registrati erano maggiori nelle città più ricche, con una variazione che andava da 28 litri al giorno per persona a Jinja (Uganda) a 631 litri al giorno per persona a Washington DC (Usa) – si parla ovviamente di acqua usata non solo per bere ma per cucinare, lavare, irrigare campi... I due autori si chiedevano se non fosse il caso, nelle condizioni in cui l’acqua diviene un bene sempre più scarso a fronte di una richiesta crescente, di far leva sulla politica dei prezzi per contenere i consumi laddove questi paiono eccessivi. Ma concludevano che lo strumento più importante su cui agire è invece «il comportamento dei consumatori, la loro consapevolezza del vero valore dell’acqua che usano». E qui sta il nodo della questione: «In effetti – riferisce Gianfranco Becciu, docente di Costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano – molti non comprendono i motivi per i quali l’acqua potabile ha un costo, che varia a seconda dei luoghi». Se in una cittadina di montagna la pressione dell’acqua raccolta nei bacini in quota di per sé consente al liquido di risalire le tubature nei palazzi pluripiano, in una città di pianura – cioè nella maggioranza delle città italiane – questo non avviene. «Si ricorre a pozzi che estraggono l’acqua di falda per poi pomparla nelle tubature in modo tale da farle raggiungere i piani alti di palazzi che possono essere di setto o più piani». E per far funzionare le pompe ci vuole energia, e l’energia ha un prezzo.

Inoltre l’acqua va controllata e purificata, eventualmente disinfettata. «Ci sono città negli Stati Uniti dove gli abitanti preferiscono che sappia un poco di cloro quando esce dal rubinetto, perché in questo modo si sentono più sicuri di non essere colpiti da elementi patogeni». Come invece può accadere a chi inavvertita- mente si avventuri a bere acqua delle tubature in molti Paesi un tempo chiamati del Terzo mondo. «In Europa dalla fine degli anni 90 s’è stabilito che l’acqua sia gestita tramite un servizio idrico integrato – spiega Becciu – che include la depurazione, la diffusione e lo smaltimento. Sono tutte opere che comportano la costruzione e la manutenzione di complesse reti infrastrutturali. Le tubature non sono costruite una volta per tutte, sono soggette ad ammaloramenti, a perdite e infiltrazioni. Vanno pertanto monitorate, riparate e ampliate ove necessario: per esempio quando si costruiscono nuove abitazioni e si estendono i quartieri. Tutto questo necessita di investimenti che a loro volta comportano la richiesta di remunerazione del capitale investito».

La gestione di questi sevizi è appaltata per lunghi periodi – circa 30 anni – a società che possono anche essere private ma che comunque sono sempre soggette al controllo pubblico: «Oggi in Italia il 97% delle società è di tipo pubblico, l’1 a carattere misto e solo il 2% è privato. In ogni caso le tariffe sono stabilite dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), il cui scopo è di permettere la libera concorrenza tra i fornitori di servizi, ma garantendo ovunque e comunque gli stessi standard qualitativi». Tale sistema di controllo e gestione delle reti idriche s’è dimostrato capace di fornire ovunque un buon servizio pur con le differenze dovute alle peculiarità di ciascun luogo. «Il monitoraggio della qualità dell’acqua nelle reti idriche è continua. Non è così invece nei punti di estrazione delle acque che sono vendute imbottigliate ». Si potrebbe quindi dire che, paradossalmente, vi siano più rischi nel bere acqua in bottiglia che nel bere quella dalla rete.

Eppure secondo il rapporto Istat sull’acqua del marzo 2022 le famiglie italiane nel 2020, pur riconoscendo che i servizi delle reti idriche sono migliorati negli anni recenti, hanno speso una media di 12,56 euro al mese per acquistare acqua in bottiglia, mentre per la fornitura di acqua nell’abitazione hanno speso in media 14,68 euro: un dato impressionante, considerato che l’acqua del rubinetto è usata non solo per bere ma per tutta una serie di altre funzioni. E se nel 2020 s’è registrata una leggerissima contrazione della spesa per l’acqua in bottiglia rispetto all’anno precedente, sul 2015 l’aumento dell’esborso è cospicuo. Da un lato le famiglie riconoscono che migliora l’acqua dal rubinetto, dall’altro comprano più acqua in bottiglia. Appare dunque strano che le famiglie siano così propense a spendere per acquistare acqua a prezzi che si aggirano sui 50 e più centesimi al litro, quando in casa, e senza alcuna fatica, possono accedere a un’acqua il cui costo si aggira attorno all’euro per metro cubo, che corrisponde a mille litri (con un prezzo pertanto equivalente a 0,001 euro al litro). E questo avviene in un Paese in cui acquedotti ad altissima efficienza sono costruiti da oltre duemila anni, tanto che uno di questi, quello dell’Acqua Virgo, che alimenta tra l’altro la Fontana di Trevi a Roma, è permanentemente in funzione dal 19 a.C., quando fu costruito.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: