Limite alla genitorialità a ogni costo
mercoledì 25 gennaio 2017

Mancava solo la sua voce, e ora si è levata, forte e chiara. Dopo il Parlamento di Strasburgo e il Consiglio d’Europa, anche la Corte europea dei diritti umani si è espressa contro il ricorso alla surrogazione di maternità per soddisfare il desiderio di diventare genitori, sottolineando che si diventa mamma e papà non in forza di un progetto e di un desiderio, legittimo e tuttavia non estraneo a ogni possibile limite perché considerato in sé buono, ma solo «nel caso di un legame biologico o di un’adozione legale». Pur divisi, sul primo caso (italiano, e questo lo rende doppiamente significativo) di "gestazione per altri" di cui sono stati chiamati a occuparsi i giudici di Strasburgo hanno ribaltato la pronuncia di primo grado e deciso in modo definitivo che è giusto sbarrare il passo all’ottenimento di un figlio con qualsiasi metodo, e dunque non è lecito farlo attraverso la stipula di un contratto per l’affitto di un grembo disponibile, considerando come un prodotto in conto terzi il bambino concepito. La natura si può tentare di eludere, i diritti umani fondamentali no, non del tutto, non ancora, finché ci sono legislatori e giudici in grado di riconoscere quel che c’è di insuperabile nelle relazioni umane e in particolare all’interno di quelle che parlano della nostra essenza, collocate come sono al suo stesso cuore.


Da sempre la legge e i suoi custodi sono chiamati a fermare i tentativi di cambiare connotati alla realtà, di ingannare il senso comune e la più elementare esperienza umana condivisa, spesso dissimulati sotto spoglie ingannevoli ed emotive. A chi legifera e a chi giudica la Corte europea ricorda che non si mercanteggia sulla vita umana, perché c’è in gioco ciò che siamo disposti a diventare come società, persone, progetti di comunità. Assecondare ogni istanza che emerge dalla collettività solo perché nuova e tecnicamente percorribile è ciò che deve rassegnarsi a fare ogni giudice? Strasburgo ha risposto di no, ha detto che ci sono diritti che vengono prima di ogni pur comprensibile sogno. E ha fatto capire col suo verdetto inappellabile che le esigenze di una coppia che desidera un figlio vanno ascoltate, ma non calpestando la dignità umana, il rapporto di filiazione, il diritto di conoscere le proprie origini. Non tutto è "famiglia". Nel caso giunto sino all’ultima istanza europea, in particolare, colpisce che alla surrogazione di maternità i due aspiranti genitori fossero arrivati dopo essersi persi per anni nei meandri delle pratiche adottive, imboccando a un certo punto quella che doveva esser sembrata loro una scorciatoia.

Vietata dalla legge italiana, ma purtroppo tollerata da troppi tribunali «nell’interesse del minore», e adesso chiamata di nuovo col suo nome dalle toghe massime custodi dei diritti umani. Attorno al diventare madri e padri, al concepire e al nascere è doveroso che la giustizia – e quella sovranazionale a maggior ragione, considerata la fragilità di leggi soggette in molti Paesi all’influsso di diritti presunti e interessi concreti – stenda un recinto protettivo, sensibile ai tentativi di cambiare con pesante pressione politico-mediatica il profilo dell’umano solo perché c’è chi desidera rendere lecito tutto ciò che è tecnicamente ed economicamente possibile. Ecco perché è importante che la Corte europea dicendo la sua con un verdetto destinato a creare un punto fermo e ineludibile abbia voluto aggiungere anche «la protezione dei diritti e delle libertà di altri» – dunque del bambino e della madre surrogata – agli «obiettivi legittimi» delle sentenze italiane che avevano sottratto un bimbo nato in Russia nel 2011 a una coppia molisana che l’aveva ottenuto a pagamento tramite utero in affitto e con materiale genetico (il seme del padre, l’ovulo della madre) estraneo ai due 'genitori committenti'.

I contratti di noleggio di un ventre materno per un pugno di dollari in Paesi dove mettere al mondo il figlio di altri può voler dire rifiatare dalla miseria sono autentiche riduzioni in schiavitù, ripugnanti alla coscienza di qualsiasi essere umano che non contempli l’esistenza di un povero pezzo di umanità al servizio dei più 'ricchi'. E anche là dove i contratti di surrogazione passano attraverso gli avvocati delle parti e compensi sostanziosi resta l’incancellabile abbrutimento della filiazione trasformata in prestazione d’opera, del figlio divenuto bene di consumo, con le donne ridotte a 'fattrici' selezionate su appositi cataloghi in base alla loro prestanza fisica e genetica e soprattutto all’impegno di non far troppe storie in sala parto, quando quella creatura che chiede il loro seno deve esser portata via. A tutto questo la giustizia europea poteva dire basta. Ora che l’ha detto, ora che tutte le istanze continentali si sono pronunciate in una stessa e umanissima direzione, saranno legislatori e giudici di casa nostra finalmente all’altezza di tanto lucido coraggio?

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