giovedì 26 maggio 2022
Kissinger rilancia la cessioni di territori per trovare un accordo con Mosca. Kiev insorge. La realpolitik si contrappone al rispetto della legalità internazionale. La soluzione è un lungo armistizio?
Guerra giorno 92: tra realismo ed etica ora serve un compromesso per la pace
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Nel giorno 92 della guerra, con la Russia ormai padrona del 20% del territorio ucraino (ne aveva circa il 12% prima dell’invasione avviata il 24 febbraio, in virtù della guerra del 2014), continua a fare discutere la proposta dell’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, ormai 98enne, che a Davos ha rilanciato la linea realista e invitato l'Ucraina a concedere territori a Mosca, nello specifico la Crimea e le repubbliche separatiste del Donbass, per mettere fine alla guerra ed evitare una escalation.

"I negoziati devono iniziare nei prossimi due mesi, prima che si creino tensioni difficili da superare: idealmente, la linea di divisione dovrebbe essere il ritorno allo status quo" di otto anni fa, ha detto, aggiungendo un monito a Stati Uniti e Occidente perché evitino di farsi trascinare "dagli umori del momento" e non cerchino un'imbarazzante sconfitta russa che potrebbe compromettere la stabilità a lungo termine dell'Europa.

Già dalla Guerra fredda campione della Realpolitik, che spesso rischia di sconfinare nel cinismo, Kissinger ha dovuto incassare le proteste di Kiev, dal presidente Zelensky in giù. Nessuno ai vertici del Paese sotto attacco vuole, almeno a parole, concedere territori, facendosi forza di un recente sondaggio secondo il quale l’82% della popolazione non vuole vedere amputati e ridisegnati i confini del 1991, quando l’Ucraina divenne indipendente separandosi dall’Unione Sovietica. Il punto è che il Cremlino difficilmente oggi si accontenterebbe di rimanere con quello che già di fatto controllava prima dell’“operazione militare speciale”, costata migliaia di soldati, una parte considerevole del proprio arsenale e conseguenze di lungo periodo sull’economia e lo status internazionale della nazione.

Le mire di Putin sono ormai sull’intero Donbass e su alcune città del Sud, come Kherson e Melitopol, dove si stanno già distribuendo passaporti russi. Questo sembra un prezzo inaccettabile per Kiev, che ancora spera di respingere l’Armata grazie al sostegno militare occidentale e alla propria capacità di resistenza sia bellica sia civile. La guerra non può tuttavia essere infinita. Prima che una delle due parti tracolli sul campo di battaglia, è auspicio di tutti che si intraprenda un percorso negoziale, per salvare vite e scongiurare ulteriori distruzioni. Ma sullo scenario di questa trattativa si confrontano almeno due idee generali delle relazioni internazionali.

La prima è quella incarnata appunto da Kissinger a livello politico e da John Mearsheimer a livello teorico e accademico. Il docente all’Università di Chicago è il sostenitore del cosiddetto realismo offensivo, che descrive l'interazione tra le grandi potenze come guidata dal desiderio razionale di raggiungere l'egemonia regionale in un sistema degli Stati anarchico per natura. In altre parole, si prende atto che i Paesi più grandi e forti cercano di raggiungere una certa egemonia nell’area che può essere chiamata la loro zona di influenza. In questo senso, anche l’idea di nazioni cuscinetto, come poteva essere l’Ucraina per la Russia, deve essere accettata.

Nel settembre 2014, Mearsheimer pubblicò sull’autorevole rivista “Foreign Affairs” un articolo intitolato "Perché la crisi ucraina è colpa dell'Occidente". Mearsheimer sosteneva che l'intervento russo in Crimea e nel Donbass era stato motivato da quelli che considerava gli obiettivi strategici irresponsabili della Nato nell'Europa orientale, con un’aperta provocazione a Putin. In questo senso, gli Stati Uniti avrebbero dovuto pensare a Kiev come un Paese neutrale tra l’Alleanza Atlantica e Mosca, piuttosto che tentare di fare entrare l'Ucraina nel fronte occidentale.

Non si tratta però di una resa alla politica imperialistica di Putin, bensì della constatazione che le logiche di potenza non si possono sovvertire e vanno assecondate per ottenere il male minore. Ben diverse sono le prospettive liberali o gli approcci orientati dalla legalità internazionale e dal rispetto dei diritti umani e dell’etica. Da questo punto di vista, la violazione della sovranità e della integrità territoriale di un Paese, le aggressioni non provocate alla popolazione non sono giustificate se non da condizioni speciali mirate a un bene maggiore. In altre parole, l’invasione russa va legittimamente contrastata e, in astratto, nessuna concessione territoriale deve essere fatta o può essere accettata. Ciò significherebbe ritenere giusta la legge del più forte e della sopraffazione.

Sono due impostazioni che devono poi fare i conti con la complessità e le sfumature della realtà concreta di ogni situazione particolare. Non sono realisti senza cuore Francia, Germania e gli editorialisti del “New York Times”, che hanno espresso posizioni simili a quelle di Kissinger e sono visti come traditori dall’Ucraina. Non sono idealisti e guerrafondai Biden, il premier inglese Johnson, la Polonia e i Paesi baltici, che rifiutano compromessi e puntano a sostenere la resistenza di Kiev fino al ritiro russo.

Come spesso accade, probabilmente solo una “dottrina mista” potrà portare fuori dal conflitto che insanguina il cuore dell’Europa. Si tratta di aprire il tavolo e avviare il dialogo, per attestarsi su un armistizio di lunga durata che di fatto sancisca che alcuni territori sono temporaneamente occupati o sotto amministrazione mista non solo ucraina, senza però legittimare o riconoscere una vera annessione russa, in violazione delle regole internazionali. Una forma soft di realismo che si coniughi con la necessità di non avallare una pace ingiusta e foriera di ulteriori tensioni.

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