Nell’87° giorno della guerra, in Ucraina si sente finalmente parlare anche di trattativa. E forse, come si era anticipato, la chiave è proprio la drammatica vicenda dell’acciaieria Azovstal. "I negoziati con la Russia sono possibili, in quanto è stata rispettata la condizione posta e le vite dei difensori di Mariupol sono state preservate", ha detto Volodymyr Zelensky, sottolineando come soltanto la diplomazia fermerà le armi. E la possibilità di uno scambio di prigionieri andrebbe in questa direzione. Ma i nodi rimangono tanti, perché poco dopo il ministro degli Esteri Kuleba ha affermato che "l'Ucraina, e solo l'Ucraina definirà quando e come finirà il conflitto. Eserciteremo il nostro diritto all'autodifesa ai sensi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite a seguito di un brutale attacco armato. Il presidente è stato chiaro. Non abbiamo bisogno della terra di nessun altro, ma non rinunceremo a ciò che è nostro".
Se infatti le parole del leader sembrano aprire qualche spiraglio, le voci dei falchi si fanno sentire sia nel Paese sia all’estero. Macron, Scholz e anche Draghi, infatti, vengono definiti da qualcuno “appeasers”, cioè sostenitori dell’appeasement, delle concessioni al nemico per acquiescenza. In particolare, si fa riferimento alla politica britannica verso Hitler prima della Seconda guerra mondiale, quando il premier Chamberlain pensò che accettare l’annessione tedesca dell’Austria e le rivendicazioni sui Sudeti potesse evitare l’allargarsi del conflitto in Europa. Cosa che peraltro non avvenne. Ma ovviamente il paragone è storicamente improponibile, dato che i leader europei stanno attivamente sostenendo Kiev, anche con l’invio di armi. L’unico argomento portato dai fautori della linea dura è che il 90% degli ucraini vuole combattere la Russia fino al suo ritiro completo fuori dai confini, mentre i capi di Stato e di governo occidentali cercano una soluzione negoziale, comunque rispettosa della volontà del popolo invaso.
Appare quindi ancora stretta la via lungo la quale risolvere la crisi senza prolungare a tempo indeterminato le ostilità, che per il momento continuano con punte di alta intensità nel Donbass. Tra le notizie diffuse nelle ultime ore, le truppe occupanti avrebbero portato in Russia già 1.377.925 cittadini ucraini, quanto più o meno la popolazione di Philadelphia, Monaco di Baviera o Milano, secondo quanto dichiarato dalle autorità locali. Vi sarebbero anche prove di deportazioni forzate e pianificate prima del 24 febbraio. Da Mariupol arrivano anche video in cui si documenta il fenomeno tra le macerie della città martire.
Sul fronte russo si registra l’indiscrezione diffusa tramite il canale Telegram “General SVR” secondo la quale Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia, ha assunto il controllo di tutti i contatti con il presidente Putin e nessun altro lo potrebbe incontrare direttamente. Tutte le presunte apparizioni del numero uno del Cremlino dal 17 al 19 maggio sarebbero incontri registrati in precedenza e trasmessi successivamente. Ciò alimenta le voci di una malattia che sarebbe in peggioramento, ma nessuna conferma può essere raccolta al riguardo. Il ministro degli Esteri Lavrov davanti a questi “rumors” ha sempre detto: “Chiedete a chi lo ha incontrato di recente”. Si capirà nei prossimi giorni se Putin tornerà a vedere di persona figure esterne al suo ristretto cerchio di potere.
Intanto Mosca, attraverso la compagnia Gazprom, ha interrotto le esportazioni di gas verso la Finlandia, come ritorsione per il prossimo ingresso nella Nato, anche se la motivazione ufficiale per lo stop è la mancata adesione alla richiesta di pagare la fornitura in rubli, come era già accaduto con Polonia e Bulgaria. Ora la società nazionale Gasum punta a fornire i propri clienti tramite altre fonti di approvvigionamento. La maggior parte del gas utilizzato da Helsinki proviene dalla Russia, ma rappresenta soltanto il 5% del consumo energetico annuo del Paese.
La mossa del Cremlino si può leggere come un altro segnale dell’atteggiamento imperialistico di Putin. Almeno questa è l’interpretazione della ministra degli Esteri britannica, Liz Truss, secondo la quale i colloqui sul potenziamento delle difese ucraine per scoraggiare future aggressioni riguarderanno anche "altri Stati vulnerabili come la Moldova. Vorrei vedere Chisinau equipaggiata secondo gli standard Nato”, ha affermato in un’intervista la titolare del Foreign Office. Decisamente la crisi innescata dall’invasione russa non troverà una de-escalation finché non vi sarà anche un credibile impegno anche da parte russa. E le contro-sanzioni appena decise contro quasi mille cittadini americani sgraditi, compreso il presidente Joe Biden, non vanno in questa direzione.