lunedì 5 giugno 2023
Mosca anticipa l'annuncio degli attacchi e parla di fallimento, Kiev smentisce e rivendica piccole avanzate. A Belgorod il Cremlino subisce un danno di immagine che ora peserà sulla stabilità interna
Si combatte a Belgorod

Si combatte a Belgorod

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La guerra in Ucraina è giunta al giorno 467 con la missione a Kiev dell’inviato papale, cardinale Matteo Zuppi, e il presunto lancio di iniziative belliche di riconquista da parte ucraina. Ma per ora sembrano prevalere lo scontro legato agli obiettivi simbolici e lo sforzo della propaganda rivolta alle opinioni pubbliche interne e internazionali.

Sembra paradossale che ad annunciare l’avvio della tanto attesa controffensiva ucraina sia stato il Cremlino. In modo meno sorprendente, per dire che il presunto attacco nella regione di Donetsk è stato un fallimento e che centinaia di soldati nemici sono stati uccisi. Qualcosa di certo si sta muovendo. Kiev ha confermato che sono in corso “azioni offensive” in alcune parti del fronte, rivendicando di aver guadagnato terreno vicino alla devastata città orientale di Bakhmut, seppure minimizzando la portata di quegli attacchi che Mosca ha dichiarato di aver respinto.

“Stiamo avanzando su un fronte abbastanza ampio. Stiamo avendo successi”, ha detto il viceministro della Difesa Ganna Maliar. Ma è verosimile che ancora non siamo a quelle massicce avanzate a sorpresa che le forze armate del Paese invaso hanno messo a punto con il sostegno dell’intelligence e degli strateghi occidentali. Indiscrezioni dicono che gruppi di combattimento, ben addestrati e ben equipaggiati, sarebbero in “aree di raccolta” vicine ai punti caldi, pronti a lanciare operazioni contro le posizioni russe.

Ma il vero interrogativo è se vi sarà davvero un momento in cui Kiev riuscirà a mettere in seria difficoltà le forze della Federazione. Azioni dall’alto impatto simbolico e mediatico sono state condotte in questi giorni oltre confine a Belgorod e in altre località, dimostrando che la Russia è in effetti poco pronta a tamponare piccole falle nelle proprie linee, né forse è interessata a farlo.

Si riaffaccia così l’analisi rilanciata in questi giorni dall’autorevole politologo americano John Mearsheimer, già critico delle mosse Nato, secondo cui l’Ucraina non può vincere. A parere di Mearsheimer, siamo di fronte a un conflitto di logoramento simile alla Prima guerra mondiale, in cui l’obiettivo è quello di dissanguare la parte avversa. In questo caso, sono 3 i fattori che decidono: la determinazione (ed entrambe le parti sono risolute); la popolazione (gli effettivi da mettere in campo) e l’artiglieria. Mosca ha un vantaggio di 5 a 1 sugli abitanti a causa degli oltre 8 milioni di rifugiati ucraini. Il bilancio dei cannoni è invece tra 5:1 e 10:1 a favore della Russia. Sulle perdite reali di soldati non ci sono cifre affidabili, ma per Mearsheimer i caduti tra gli invasi sono maggiori che tra gli aggressori.

Che cosa accadrà allora? L’ipotesi “realista”, e pessimistica invero per Kiev, è che Putin riuscirà a consolidare il controllo dei quattro oblast già formalmente annessi e potrebbe cercare di prendere altri 4 oblast verso il fiume Dnipro, tra cui, addirittura, Odessa e Kharkiv. L’obiettivo sarebbe quello di portare tutta l’etnia russa sotto il controllo della Federazione per evitare un altro “problema Donbass”. Il Cremlino non vuole conquistare la parte occidentale del Paese, dove sono in larga maggioranza i “nemici” della Russia: sarebbe come “cercare di ingoiare un porcospino”, dice Mearsheimer. Lo scopo finale è trasformare l’Ucraina in uno Stato disfunzionale, in modo che non possa minacciare la Russia o essere usata come baluardo occidentale al suo confine.

Il realismo del politologo lo porta anche ad affermare che non ci potrà essere un accordo di pace. Il motivo è che le parti non sembrano volersi accordare su territori da cedere o restituire;non paiono nemmeno in grado di trovare una soluzione sulla neutralità futura. E i lutti e l’odio di questi 16 mesi di guerra rendono di fatto impossibile un’intesa definitiva, anche per l’ovvia mancanza di fiducia tra i due leader e i due popoli. L’unica via sembra quella di un conflitto congelato con i maggiori vantaggi cristallizzati a favore di Mosca. E se vedesse che le cose non vanno in questa direzione, conclude Mearsheimer, Putin penserebbe all’uso dell’arma atomica, che per ora invece rimane lontano.

Quanto è aderente alla situazione sul campo l’analisi del politologo, che fin dall’inizio è stato scettico nel sostegno alla causa ucraina, proprio in virtù di una posizione “realista” delle relazioni internazionali, basate sui rapporti di forza in atto? Si può probabilmente affermare che non cattura necessariamente le debolezze della Federazione, la quale avrebbe volentieri chiuso il conflitto nelle poche settimane ipotizzate dai piani usati per l’invasione del 24 febbraio 2022 e che nella guerra di attrito perderà anch’essa enormi risorse umane ed economiche. Non si può nemmeno sottovalutare il fatto che Putin abbia sentito il bisogno di puntualizzare pochi giorni fa la necessità di contrastare i tentativi di destabilizzare il Paese.

La ferita inflitta a Belgorod dalle milizie della resistenza russa filo-ucraina, malgrado lo scarso impegno di Mosca nel respingere le incursioni, indicano che un prolungamento della guerra può essere rischioso per il Cremlino e le nuove opportunità di una via d’uscita diplomatica, propiziate anche dalla missione vaticana condotta dal cardinale Matteo Zuppi, potrebbero diventare presto più concrete, a beneficio di entrambi i contendenti. Il presidente della Cei, esperto diplomatico, tenterà infatti di costruire ponti e gettare basi per un potenziale dialogo, che sembra sempre più necessario.

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