sabato 9 aprile 2022
A Kiev adesso arrivano i leader occidentali, ma sembra mancare ancora una chiara strategia per uscire dalla crisi, che vuol dire cessate il fuoco e anche ricostruzione di un nuovo equilibrio in Europa
Guerra giorno 45, la politica e le diplomazie al lavoro. Per quale obiettivo?
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A Kiev è arrivato a sorpresa, nel 45° giorno di guerra, il premier britannico Boris Johnson, insieme al cancelliere
austriaco Karl Nehammer. La loro visita segue di un giorno quella compiuta dalla presidente della commissione europea, Ursula Von der Leyen, e dall'Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell.
Poco prima era arrivata nella capitale la presidente del'Europarlamento, Roberta Metsola. Nel frattempo, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato la riapertura della nostra ambasciata, nella sua sede stabile, dopo il provvisorio spostamento a Leopoli.

Il ritrovato attivismo della politica e della diplomazia, da quando il Nord dell'Ucraina è stato liberato ed è meno costantemente sotto i colpi dell'Armata russa, corrisponde a una evoluzione della crisi, senza però dare un'indicazione precisa di possibili sbocchi. Si potrebbe dedurre che Mosca abbia provvisoriamente rinunciato ai piani di prendere il controllo totale del Paese e di rovesciare il governo in carica, puntando, almeno provvisoriamente, verso una divisione di fatto. Quanta parte del Donbass e della fascia a Est, compresa la costa sul Mare d'Azov, potrà essere dichiarato autonomo o annesso a Mosca viene lasciato ai combattimenti e alla trattativa che seguirà al cessate il fuoco, che potrebbe arrivare il 9 maggio, data cara alla Russia.

Sembra uno scenario lineare, in cui l'Ucraina, forse orba della Crimea e delle zone perse a Oriente, entra stabilmente nell'orbita europea, candidata a diventare membro a tutti gli effetti della Ue, anche se forse con uno statuto di neutralità militare. Tutto troppo semplice, purtroppo. Perché le vere intenzioni di Putin non sono note né gli sviluppi sul terreno risultano prevedibili. Ma non è nemmeno chiaro quanto Zelensky voglia rassegnarsi a una situazione come quella descritta. Certo, il suo grado di accettazione delle condizioni poste dal Cremlino dipende dal sostegno internazionale e dagli aiuti militari che gli verranno garantiti. Il presidente ucraino ha potuto soltanto collegarsi con i Parlamenti del mondo libero, ora i leader gli portano direttamente la solidarietà. La sensazione è quella di uno Stato che non è più sull'orlo del collasso sotto la pressione di una forza d'invasione brutale.

Tuttavia, l'attivismo politico-diplomatico e le "photo opportunity" a Kiev non devono fare dimenticare le migliaia di vittime civili, i 10 milioni di sfollati (di cui 4 milioni espatriati) e le immense distruzioni che l'Ucraina ha subito. Tutto questo non potrà facilmente essere sanato. Né potrà essere ripristinato un equilibrio mondiale che oggi vede la Russia sotto pesanti sanzioni e crescente isolamento internazionale, con un presidente che da più parti si vorrebbe addirittura processato per crimini di guerra.

Ecco allora che ci si può chiedere se esista un obiettivo coerente dell'azione dei leader e delle cancellerie. Se sostenere la resistenza ucraina a breve termine non sia solo finalizzato a prolungare i combattimenti. Se l'iniziativa europea trovi un efficace coordinamento con quella americana. Se si siano debitamente valutati tutti gli effetti collaterali del conflitto in corso. Se si siano considerate le implicazioni che potrebbero avere le elezioni francesi, qualora non venisse riconfermato Emmanuel Macron all'Eliseo. Serve, in altre parole, un'idea chiara di come potrebbe essere ricucita parzialmente la crisi in tutte le sue dimensioni: militare, umanitaria, politica ed economica.

La necessità di lavorare a un compromesso che metta innanzitutto fine alle ostilità e ai massacri che ogni giorno rivelano la brutalità dell'invasione russa deve andare di pari passo con l'intelligenza politica capace di creare condizioni per un futuro che non porti in sé il rischio di una nuova escalation. Quando riprenderanno i colloqui a un livello più alto rispetto ai contatti interlocutori tra le parti che non si sono mai interrotti, il fronte occidentale dovrà virtualmente sedersi al tavolo per condurre la crisi a una fine che sia nell'interesse della pace e della convivenza, senza minacce già innescate alla libertà e alla integrità territoriale di popoli e Stati. Ciò significa anche trovare una coesistenza con la Russia di Putin su diverse basi rispetto a quelle pre-24 febbraio 2022. Questa difficile opera politica diplomatica è ciò che di cui c'è urgenza, al di là degli incontri bilaterali e delle strette di mano.




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