lunedì 13 marzo 2023
Xi Jinping potrebbe parlare con Putin e Zelensky. Una mossa attesa, ma difficilmente risolutiva. Il Papa rinnova la spinta per la pace. Una tregua potrebbe venire con assetti fluidi e da consolidare
Guerra giorno 383: diplomazia cinese e scenario della "trattativa a oltranza"
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La guerra in Ucraina è arrivata al suo 383° giorno, caratterizzato da intensi scontri a Bakhmut e da un rilancio di segnali diplomatici dopo molti giorni d’assenza di iniziative. Nella città del Donbass, i russi "attaccano da più direzioni per avanzare verso i distretti centrali", hanno riferito i comandi di Kiev. "Più siamo vicini al centro della città, più violenti sono i combattimenti", ha invece detto Yevgeny Prigozhin, il capo dei miliziani russi di Wagner.

Entrambi i contendenti hanno riferito di aver registrato pesanti perdite durante la battaglia. Il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato che le forze di invasione hanno subito più di 1.100 morti negli ultimi giorni, con molti feriti gravi. Mosca ha invece ha affermato di aver ucciso più di 220 soldati ucraini in sole 24 ore. Cifre probabilmente arrotondate per eccesso da tutte due le parti, ma indicative sia del terribile bilancio di vittime mietuto su questo fronte del conflitto sia della sproporzione tra i caduti, molto maggiori fra gli aggressori come ammettono gli stessi generali di Putin.

Se la situazione sembra rimanere bloccata a Bakhmut, provano a muoversi le cancellerie. Le indiscrezioni riferite dal “Wall Street Journal” segnalano la possibilità che il presidente cinese Xi Jinping si rechi la prossima settimana al Cremlino, come già anticipato, e poi possa programmare un colloquio con il leader ucraino Zelensky, per la prima volta dall'inizio della guerra. Ancora nessuna conferma da Pechino riguardo ai prossimi impegni dell’appena riconfermato Xi, che venerdì ha ricevuto all'unanimità un terzo mandato dai quasi tremila delegati dell'Assemblea Nazionale del Popolo.

Il presidente cinese è sicuramente alla ricerca di una consacrazione del suo ruolo di capo di una superpotenza a livello internazionale e la mediazione nel conflitto si presenta come un’occasione irripetibile di questi anni. Non sarà in ogni caso una missione agevole. Pechino non può presentarsi come un attore super partes né, probabilmente, vuole danneggiare le ambizioni di Putin, con il quale ha l’intenzione di rafforzare l’asse in funzione anti-Occidentale. Tuttavia, la Cina sembra essere l’unico Paese in grado di indurre il presidente russo a moderare le proprie pretese a breve termine per ottenere di più nel lungo periodo.

D’altra parte, proprio in queste ore, è emersa da entrambe le parti la chiara volontà di non concedere nulla al nemico. Gli obiettivi fissati dalla Russia in Ucraina, al momento, possono essere raggiunti solo con mezzi militari, secondo il portavoce di Putin, Dmitry Peskov. "Per noi la priorità assoluta continua ad essere e rimarrà sempre il raggiungimento degli scopi prefissati. Ora possono essere raggiunti solo con strumenti bellici", ha ribadito, negando che si vedano i presupposti per il passaggio della situazione a un corso pacifico. Sull’altro versante, il 64% degli ucraini ritiene che il proprio Paese debba tentare di riconquistare tutte le zone sotto occupazione, compresa la Crimea, anche a rischio di un minore sostegno da parte dell'Occidente e di una guerra prolungata, in base a un sondaggio condotto a livello nazionale dal Kyiv International Institute of Sociology alla fine di febbraio. Inoltre, la maggioranza assoluta degli ucraini - l'87% - è contraria a qualsiasi concessione territoriale.

Sullo sfondo rimane l’offerta più volte ribadita da parte del Papa di mettere i belligeranti a un tavolo per giungere prima a una tregua e poi alla pace. Francesco l’ha ribadito in alcune interviste nei giorni dell’anniversario per i dieci anni di Pontificato. La possibilità di un doppio viaggio a Mosca e a Kiev rimane attualmente remota, ma qualche spiraglio da parte del patriarca ortodosso Kirill e dallo stesso Cremlino sembra essersi aperto. Ogni trattativa non potrà comunque prescindere da tutti i protagonisti a vario titolo della crisi, includendo quindi Stati Uniti e Nato.

Di fronte all’ostinazione di Putin e alla determinazione del popolo ucraino, con la dovuta distinzione fra un potere verticistico che ha avviato la guerra e rimane sordo alla voce del proprio Paese e una nazione che sta resistendo e vuole riconquistare i propri territori, proprio la trattativa a oltranza potrebbe essere una via d’uscita. Difficile, infatti, immaginare che si possa andare a un tavolo con qualche disponibilità a fare concessioni. Diverso sarebbe invece attuare una tregua in cui nulla viene sancito come definitivo, ma durante la quale si lascia spazio a processi sotto monitoraggio internazionale che possano portare in futuro ad assetti più consolidati. Qualcosa in più dello scenario coreano invocato di recente, per il quale ci si assesta semplicemente sullo status quo, sperando che non sia modificato unilateralmente. Ma qualcosa di meno di un vero processo di pace, funzionale a non fare perdere reputazione a Putin e non pregiudicare la sorte delle zone invase. Solo ipotesi, certo. Eppure, le uniche finestre di speranza in un conflitto che si annuncia ancora tragicamente lungo e sanguinoso.

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