sabato 11 febbraio 2023
I raid delle ultime ore mirati a fermare gli aiuti militari dall'Occidente. Dubbi sulla possibile prossima offensiva di Mosca. Timori per la piccola repubblica oggetto di manovre di destabilizzazione
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La guerra in Ucraina è giunta al giorno 353 e a Kiev si fa il bilancio dei pesanti raid aerei condotti venerdì dalle forze russe. Si è trattato del 14° massiccio attacco dal cielo, il primo da quando il comando delle operazioni è stato assunto dal generale Gerasimov, capo di stato maggiore della Difesa. Rispetto alla strategia inaugurata dal suo predecessore, non sembra cambiato quasi nulla. Gran parte dei missili e dei droni sono stati intercettati dalla contraerea ucraina, ma la rete energetica del Paese ha subito nuovi danni con distacchi di elettricità in numerose province. La situazione più difficile è a Kharkiv, mentre almeno due centrali nucleari hanno dovuto ridurre temporaneamente la loro produzione di elettricità.

Secondo lo Stato maggiore di Mosca, tuttavia, la nuova ondata di bombardamenti aveva come bersaglio il rifornimento via treno di armamenti occidentali destinati all'Ucraina, e in particolare diretti alle zone in cui si sta attualmente combattendo. "Gli obiettivi sono stati raggiunti – si legge in una nota –. È stato bloccato il dispiegamento di armi, hardware e truppe su ferrovia". Benché la comunicazione ufficiale russa sia sempre da prendere con molte cautele, essendo venata di propaganda quando non completamente distaccata dalla realtà, l’indicazione questa volta merita di essere presa in considerazione.

Si tratta infatti di valutare quanto, con l’intensificarsi della strategia degli attacchi dal cielo, i nuovi arsenali promessi dai Paesi Nato potranno essere dispiegati senza troppe perdite nella fase di trasporto. Se le infrastrutture ucraine saranno messe sotto costante pressione, anche il rafforzamento del dispositivo militare sul campo potrebbe essere limitato rispetto ai piani più ottimistici.

Resta vero, tuttavia, che le capacità belliche della Federazione non stanno crescendo come i suoi vertici vorrebbero fare credere. Lo segnala il fatto che i blogger militari russi stanno criticando i comandanti dell'esercito a seguito di un fallito attacco alla città di Vuhledar, testimoniato da immagini diffuse da Kiev in cui sono visibili numerosi carri armati distrutti e soldati di Mosca in fuga. Secondo i blogger, "il video mostra come gli ufficiali in loco continuino a fare gli stessi costosi errori dei mesi passati”. Uno dei commentatori sul Web ha affermato che il comandante del gruppo orientale delle forze armate, il tenente generale Rustam Muradov, è colpevole dei fallimenti tattici russi intorno a Vuhledar. Un altro ha chiesto processi pubblici per punire gli strateghi che falliscono ripetutamente sul campo di battaglia chiedendone la sostituzione. Inoltre, viene sottolineato che si minimizza lo scarso addestramento dei riservisti mobilitati.

Tutto ciò induce a pensare che la situazione sul campo non cambierà a breve termine. Si attende il discorso che il presidente Putin farà probabilmente il 21 febbraio, alla vigilia dell’anno dal lancio dell’invasione dell’Ucraina. Ma pare difficile che il capo del Cremlino faccia annunci particolari. Ci sarà una grande offensiva a Est delle forze di Mosca intorno al 24 febbraio? Sembra una mossa fin troppo annunciata, sebbene si possa ricordare che anche l’aggressione a Kiev scattata quasi 365 giorni fa venne prevista dall’intelligence americana.

E allora l’allarme non fu preso abbastanza sul serio dell’Europa, che ancora nel vertice straordinario di giovedì scorso non è riuscita a trovare una forte posizione comune. Si è cominciato con lo “sgarbo” di Zelensky, volato prima a Londra che nelle sedi comunitarie, poi vi è stata la fuga in avanti di Francia e Germania, con la cena di Parigi andata di traverso a tutti gli altri partner Ue assenti, a cominciare dalla premier italiana Giorgia Meloni. I toni dei discorsi del presidente ucraino e delle risposte ufficiali dell’Unione sono stati caldi e partecipi della tragedia in corso. Non pare tuttavia che gli impegni siano stati all’altezza.

Si dice che il premier britannico Sunak abbia garantito ingenti sforzi sul piano bellico, mentre il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz si sarebbero concentrati soprattutto sulla fase successiva della crisi, quando vi sarà da trattare con Mosca e ricostruire un Paese profondamente segnato dal conflitto. A quello stadio però si deve arrivare o con la vittoria di uno dei contendenti o con un sostanziale pareggio che induca i nemici a fermare le ostilità. Quale sarà l’esito dipenderà soprattutto dall’impegno profuso dai principali Paesi occidentali.

C’è da chiedersi come reagirebbe oggi l’Europa se Mosca allungasse i suoi tentacoli per stringere nella morsa anche la piccola Moldavia, nei cui cieli sarebbe passato uno dei missili lanciati dalle forze russe. La premier filo-occidentale Natalia Gavrilita è stata costretta alle dimissioni in un contesto interno in cui le componenti filo-russe, guidate e sostenute dalla longa manus del Cremlino, soffiano sul fuoco. La presidente Maia Sandu l’ha rimpiazzata con il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, Dorin Recean, nel tentativo di resistere alle manovre per la destabilizzazione denunciate anche dai servizi di Kiev. La Moldavia, Paese più povero d’Europa, 2,6 milioni di abitanti, è candidata all’ingresso nell’Unione Europea, ed è alla prese anche con la regione separatista della Transnistria dove sono presenti truppe di Mosca. Alle ultime elezioni hanno prevalso le formazioni europeiste, ma la situazione è precaria.

Un anno di guerra sanguinosa nel cuore del Continente non sembra sia stato ancora sufficiente per fare nascere un fronte solido e determinato per frenare l’imperialismo del Cremlino.

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