martedì 11 ottobre 2022
Molti black-out e timori di altri attacchi. Forse negli arsenali russi ora armi meno efficienti. L'Occidente condanna i crimini di Putin e promette sostegno continuo. Ma il Cremlino resta ottimista
Guerra giorno 230: la tragica conta dei missili, G7 e scenari visti da Mosca
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Il giorno 230 della guerra vede una dura presa di posizione del G7 contro la Russia dopo la pioggia di fuoco che si abbattuta sulla capitale e su altre città ucraine, provocando decine di vittime e di feriti e mettendo fuori uso centrali per la produzione di energia elettrica, mentre continuavano a cadere altri missili. Ma quella che è stata definita una giornata capace di modificare la percezione e anche le sorti della guerra deve essere ancora pienamente analizzata per capirne la reale portata.

I leader dei sette Paesi che formano l’organizzazione delle potenze occidentali, riuniti d’emergenza, hanno “condannato nel modo più duro possibile” gli “attacchi contro le città e le infrastrutture civili in Ucraina" che hanno “causato la morte di civili innocenti”, si legge nella dichiarazione finale, in cui poi si afferma: “Ricordiamo che gli attacchi sulla popolazione civile rappresentano crimini di guerra” e che “il presidente Putin e i responsabili dovranno risponderne”.

I capi di Stato e governo si impegnano a sostenere Kiev “per tutto il tempo che sarà necessario. Vogliamo rassicurare il presidente Zelensky che continuerà senza sosta il nostro impegno a favore dell'Ucraina per difendere la sua integrità e sovranità territoriale. Continueremo a fornire sostegno finanziario, umanitario, militare, diplomatico e legale, per tutto il tempo che sarà necessario”. Poco dopo si è saputo che la Germania avrebbe consegnato a Kiev il primo dei quattro sistemi di difesa aerea Iris-T Slm promessi da Berlino.

Toni duri dal presidente ucraino, collegato con il G7 virtuale, che ha ribadito la chiusura a ogni tipo di trattativa con Putin e ha sollecitato l’invio di sistemi di difesa aerea per proteggere le città da bombardamenti che, è convinto, si ripeteranno. E questa è una delle domande chiave per comprendere il possibile sviluppo di una crisi che drammaticamente non fa intravedere via di uscita, anche se è arrivata una timida apertura da Mosca per un incontro al G20 di novembre in Indonesia tra Putin e Biden.

Secondo cifre fornite dal governo ucraino e riportate dal “Kyiv Independent”, fino ad agosto la Russia aveva lanciato 3.500 missili contro l'Ucraina. È difficile valutare quanti ne abbia ancora nei suoi arsenali. Il fatto che stia usando sempre più spesso vecchi tipi di vettori suggerisce che i modelli più avanzati siano disponibili in numero limitato. Con la carenza di parti importate – a causa delle sanzioni – e di manodopera qualificata che rallentano la produzione, è improbabile che la Russia possa mantenere a lungo questo ritmo di utilizzo di missili da crociera di nuova generazione. Inoltre, le forze di Kiev diventano sempre più abili nell’intercettarli, anche grazie agli apparati forniti dalla Nato. Un effetto potrebbe essere che operazioni massicce come quelle di lunedì, in cui i missili devono essere lanciati numerosi e in contemporanea per eludere la contraerea, non siano frequenti per le difficoltà di cui si è detto.

La difesa dalla guerra missilistica sarà quindi la chiave del conflitto nei prossimi mesi, se Mosca spingerà sulla strategia finalizzata a distruggere le infrastrutture chiave del Paese, in particolare quelle necessarie a superare le temperature rigide dell’inverno. Sono diventate virali le immagini di strade e case riparate a tempo di record (dove possibile, ovviamente) dopo i raid russi. Una centrale o un elettrodotto distrutti però non si ricostruiscono in 24 ore o in una settimana. E se i colpi su obiettivi civili si moltiplicheranno, potrebbero risultare inutili le vittorie sul campo. Lunedì sono finite nel mirino le reti in 12 regioni e nella capitale, con interruzioni di corrente in 15 regioni, da Leopoli a Ovest a Kharkiv a Est.

Ma il consumo di armi è un problema anche per gli alleati di Kiev. Nella riunione dei ministri della Difesa di mercoledì gli alleati dovranno adottare nuove decisioni per “assicurare che non solo utilizziamo le scorte esistenti” di armamenti per aiutare il Paese aggredito, ma anche che “siamo in grado di aumentare la produzione di armi e munizioni”, per ricostituire le scorte, ha spiegato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Le industrie occidentali finora hanno lavorato a ritmo di “tempo di pace”, mentre ora sono chiamate a consegnare più prodotto e in tempi più rapidi.

Sul fronte russo, sembra che la linea dura abbia prevalso al Cremlino su pressione dei falchi, impazienti di dare segnali di forza e di aumentare la pressione psicologica sulla popolazione, come è nelle corde del nuovo comandante militare, Sergej Surovikin. Malgrado le previsioni di vari analisti occidentali, si replica da Mosca che le riserve di armamenti russe sono quasi infinite e che le capacità belliche sono tali da annientare l’Ucraina se solo lo si volesse. La convinzione di Putin è che l’allungarsi dei combattimenti logorerà soprattutto i governi europei che devono rispondere ai loro elettori, mentre la Federazione sotto il pugno di ferro del Cremlino sopporterà sanzioni e isolamento.

Uno scenario prefigurato è per esempio quello di prezzi costantemente alti dell’energia che porterà le principali industrie tedesche, da anni abituate al gas a buon mercato proveniente dalla Russia, a spostarsi dove il metano costa molto meno, dagli Stati Uniti all’Asia. Ciò comporterà licenziamenti, disoccupazione, calo del Pil e minori consumi, con ulteriori chiusure di aziende, in un processo progressivo di deindustrializzazione.

In questo senso, tragicamente, le sei ore di raid sulle città potrebbero non costituire una svolta, ma solo uno degli episodi barbari e strazianti di cui la guerra sarà ancora costellata.


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