sabato 6 settembre 2014
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Se il vertice Nato concluso ieri nel Galles voleva fornire una risposta risoluta a Vladimir Putin in grado di convincerlo a cambiare registro con la sua politica estera muscolare, allora, il risultato è deludente. Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Rasmussen, spalleggiato dal presidente americano Obama e dal premier inglese Cameron, aveva infatti chiesto l’adozione di misure idonee a dissuadere la Russia e a dimostrare insieme la determinazione e l’unità di intenti dei Paesi membri. Nulla di questo è davvero avvenuto. Sanzioni economiche più dure nei confronti della Russia (con inevitabile contraccolpo sull’Europa) non sono state adottate, la tregua conclusa tra l’Ucraina e i separatisti filorussi (sostenuti da Mosca) non prende neppure in considerazione la fuoriuscita delle forze militari russe dalle regioni dell’Ucraina Orientale né implica la rinuncia dei ribelli al loro piano separatista (leggere le dichiarazioni rilasciate dal loro portavoce appena scattata la tregua). Quello che è lecito aspettarsi è, come minimo, una cronicizzazione della situazione che segni la secessione de facto delle province russofone.  Mentre lo scenario peggiore prevede il riesplodere del conflitto a breve, al primo casus belli creato ad arte, che porti a un intervento militare ufficiale del Cremlino, in grado di determinare l’annessione dei territori contesi. In stile Crimea. Ieri purtroppo è stato sancito ancora una volta che i trattati internazionali possono essere stracciati, non appena uno dei firmatari lo ritenga conveniente e se i mutati rapporti di forza lo consentono. A cominciare da quello che Russia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania avevano sottoscritto a tutela dell’integrità territoriale dell’Ucraina, per convincere Kiev a rinunciare alla quota di arsenale nucleare ereditato alla fine dell’Unione Sovietica. Uno dei comprimari del vertice ha tenuto a sottolineare 'l’importanza di recuperare la Russia al sistema internazionale'. Già, ma di quale sistema internazionale parliamo? Di quello normalmente definito 'l’ordine liberale internazionale', fondato sulla progressiva riduzione dell’uso della forza per risolvere le questioni tra le grandi potenze, orientato a regolare l’arena internazionale attraverso il diritto internazionale e una serie di istituzioni chiamate Wto, Fmi, Banca Mondiale, in cui la Nato si occupa della sicurezza? Evidentemente no, perché legittimando quello che il governo di Putin sta compiendo da mesi in Ucraina siamo noi, i Paesi di democrazia occidentale, a esserci piegati alla logica moscovita, ad avere aderito a un sistema internazionale fatto di zone di influenza e di sovranità limitate.  Certo, a Cardiff, se non altro abbiamo provato a rassicurare i Paesi Baltici, la Polonia e gli altri ex satelliti sovietici sulla capacità dell’Alleanza di difendere i suoi membri: questo è il senso del varo della Forza di impiego rapido. Ma questo rappresenta il 'minimo sindacale'. E già i russi hanno tuonato contro questa decisione che 'innalza la tensione' nella parole del ministro degli Esteri Lavrov.  Nei confronti dello 'Stato islamico' la Nato è sembrata meglio in grado di mostrare i muscoli ma, diciamocelo con franchezza, quello era l’obiettivo a portata di mano. Una campagna aerea contro le forze del califfo, tanto più se in seguito a una formale richiesta da parte del governo di Baghdad, è cosa politicamente assai meno complessa, considerando che nessuno (neppure i sauditi, i turchi e i piccoli Emirati che pur ne hanno consentito la crescita) appoggia più i tagliagole di al-Baghdadi. Uno Stato ha il legittimo diritto di richiedere assistenza militare a un’alleanza costituti da Stati sovrani, la quale, per ottemperare, non ha neppure bisogno di autorizzazione da parte dell’Onu.  Strategicamente, il passaggio delicato è quello di riuscire ad appoggiare le forze sul terreno (che sono sciite o curde, ma non sunnite) senza farsi risucchiare dalla logica settaria tanto cara allo Stato islamico. Ecco perché è di fondamentale importanza arruolare nella coalizione anche attori sunniti e cercare, sul terreno, la collaborazione dei leader sunniti dell’Iraq occidentale, come aveva ben capito il generale Petraeus, quando nel 2007 riuscì a scacciare al-Qaeda dal 'triangolo della morte' di Falluja.
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