Tutto il riequilibrio che resta ancora da fare
mercoledì 7 aprile 2021

Il traguardo è stato raggiunto, il riequilibrio di genere è (quasi) realizzato. La Consob ha certificato che nel 2020 nei rinnovi dei Consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa i posti sono stati occupati per il 42,8% da donne. L’ingresso massiccio delle donne nei Cda è un dato positivo per almeno due aspetti: manda un segnale culturale al Paese e offre prospettive migliori alla ripresa economica, perché è accertato dalla stessa Consob che la maggiore differenziazione grazie alle nuove arrivate con età media più bassa e titoli di studio più alti ha garantito negli ultimi anni migliori performance economiche alle società.

Ma c’è un ma. Anzi, ce ne sono diversi. Il primo aspetto critico è che questo eccezionale risultato è stato ottenuto non grazie a una situazione di fatto in cui donne e uomini si formano, operano e esercitano la propria leadership in condizioni di pari opportunità, bensì alle prescrizioni di legge sulle 'quote'. Ciò non sminuisce i meriti delle donne che rivestono ruoli di responsabilità nei Cda, intendiamoci: il 'salto' imposto dalla Legge Golfo-Mosca nel 2011 e poi ampliato alla fine del 2019 (da un terzo di presenza obbligatoria ai due quinti), è stato salutare e benefico e ha consentito all’Italia di colmare un divario in pochi anni anziché in alcuni decenni.

Ma si tratta pur sempre di una legge programmaticamente temporanea, il cui obiettivo ultimo è indurre un cambio radicale di mentalità e un consolidamento dei risultati tale da rendere infine superfluo ogni vincolo di legge. Da questo punto di vista, la strada che la società italiana deve percorrere è ancora lunga: basti vedere, seppure in un contesto molto diverso, il faticoso e controverso tragitto che sta compiendo il Pd per imporre un riequilibrio di genere nei suoi ruoli apicali. Un’altra distorsione, più tecnica ma pur sempre preoccupante, è il fenomeno noto come interlocking: tradotto significa che le donne sono più frequentemente degli uomini titolari di più di un incarico di amministrazione: un caso su tre, secondo il rapporto della Consob. Si tratta di un dato negativo perché riduce il numero assoluto delle donne che fanno esperienza di ruolo di leadership e dimostra una certa pigrizia nell’esaminare nuovi profili.

La terza nota dolente è sostanziale: se i Cda oggi sono composti in media per il 40% da donne, le amministratrici delegate sono appena il 2%. Abbattuto un soffitto di cristallo se ne scopre subito un altro. Succede che per le posizioni dove risiede il 'vero' potere c’è quasi sempre qualcun altro, e quel qualcuno è un uomo. Si tratta di un paradosso: se le donne ora nei Cda sono entrate, lì per lo più si fermano. Non 'salgono' nei ruoli di presidente o amministratrice delegata. E non 'scendono' nei ruoli operativi di direzione. Uno degli elementi decisivi che in passato la Consob aveva addotto per caldeggiare la proroga della legge Golfo-Mosca era che le donne che stavano maturando esperienza nella gestione delle società quotate avrebbero potuto sfruttare le competenze acquisite per accedere a ruoli apicali esecutivi.

Questo obiettivo non sembra ancora acquisito. Una ricerca sulla leadership femminile in Europa, realizzata dall’Associazione European Women on Board e presentata in Italia da Valore D, mostra che il nostro Paese si distingue positivamente per il numero di donne nei Cda grazie all’impianto legislativo favorevole, ma negativamente per la leadership femminile nelle posizioni direttive apicali: il 17% contro il 33% della Norvegia e il 25% del Regno Unito. E sono proprio i ruoli che in azienda possono imprimere un cambiamento sostanziale a vantaggio di tutte le altre e di una società più inclusiva per tutti (uomini compresi). Ad esempio esigere che per ogni posizione vacante ci siano candidature con un giusto equilibrio di genere.

Oppure porsi come obiettivo aziendale - misurabile periodicamente, alla pari di ogni altro target - la partecipazione femminile, in modo che crescano le competenze e le leadership da spendere poi ai massimi livelli. Oppure ancora preoccuparsi che le retribuzioni a parità di mansioni siano equivalenti per uomini e donne. In definitiva, le quote potranno essere superate in un orizzonte si spera non troppo lontano, ma solo a condizione che i soffitti (e i pavimenti) di cristallo vengano abbattuti. Non basta dirlo: bisogna volerlo e farlo diventare un obiettivo condiviso, insieme uomini e donne, nelle aziende, in famiglia, nei partiti.

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