Tutto chiaro (e urgente)

Gli elettori non perdonano più gli errori di alcuno, e non nascondono la sfiducia in tanta parte di questa politica, nei suoi deludenti giochi di prestigio, nei suoi arrocchi
June 26, 2017
Tutto chiaro (e urgente)
Tutto chiaro. Il voto di secondo turno di domenica 25 giugno, è impietoso come il sole di questa estate torrida, difficile non farci i conti. Anche perché a tratti mostra la stessa forza dirompente delle tempeste d’acqua sulla terra riarsa alle quali ci siamo malvolentieri abituati e che ci stanno insegnando a contare in modo nuovo i danni che si vedono e quelli che, un po’ più in là, si vedranno.
Tutto chiaro. Chiaro chi ha vinto e chiaro chi ha perso, perché verdetti e numeri finali sono inesorabili. Il partito del non-voto o, meglio, il non-voto per i partiti – tutti, vecchi e nuovi – pesa sempre di più e conquista la maggioranza assoluta: appena 46 aventi diritto su 100 si sono presentati ai seggi. E poiché in democrazia sono i voti espressi a contare il quadro è ben delineato, sebbene il chiodo a cui è appeso diventi sempre più ballerino.
Il centrodestra vince perché cresce, e per certi versi addirittura trionfa, conquistando una "capitale" come Genova, e passando a questo giro da 7 a 16 grandi Comuni sotto le proprie insegne: sono ben 12 le amministrazione cittadine che sono state strappate al Pd e ai suoi inquieti alleati dal suo, pur altrettanto inquieto, avversario tradizionale.
Il centrosinistra viene sconfitto ovviamente perché perde consensi, e per certi versi addirittura tracolla, passando da 17 a 6 grandi Comuni amministrati, perdendo ancora sonoramente in Liguria (oltre che a Genova anche a La Spezia), riperdendo a L’Aquila, e non riuscendo a consolarsi per le vittorie pesanti ottenute a Padova e a Lecce (prese al centrodestra) e a Taranto (confermata).
Segnano il passo 5 Stelle che perdono Parma (che ha confermato sindaco Pizzarotti, pur cacciato dal Movimento) e conquistano Carrara, oltre che qualche amministrazione minore, ma neppure lontanamente riescono a intonare (e a ispirare mediaticamente) le stentoree fanfare di un anno fa. Il problema per il terzo polo che punta a confermarsi come primo soggetto politico italiano, l’avevamo già annotato, non sono i ballottaggi persi (appena due su dieci), ma quelli ai quali non riesce ad arrivare. Alle politiche a turno unico la musica potrebbe essere molto diversa, ma nulla è scontato per nessuno. E Beppe Grillo se ne è accorto più e meglio di qualche suo colonnello.
Tutto chiaro, appunto. Chiaro anche che l’«effetto ottico», di cui si era ragionato all’indomani del primo turno davanti all’apparente ritorno a una dialettica centrodestra-centrosinistra in stile da cosiddetta Seconda Repubblica. L’effetto ottico c’è e resta tale, proprio perché si rafforza persino nei ballottaggi delle elezioni comunali il clima politico in cui siamo immersi dal voto referendario del 4 dicembre 2016.
È questo clima che favorisce la svolta multipolare (e neo-proporzionalista) in corso, e neanche il sonoro successo di tappa dell’antico centrodestra pare riuscire a frenare la tendenza. Una delle immagini emblematiche nella notte televisiva di domenica 25 giugno, mentre procedeva lo spoglio, è stata quella del battibeccare infastidito tra i portavoce di Forza Italia e della Lega. Berlusconiani e salviniani si sopportano sempre meno: si vede a occhio nudo, e persino di più in caso di vittoria. Vedremo se gli sforzi del governatore-pontiere Giovanni Toti, detentore del marchio vincente di quella sorta di "modello ligure" che ha consentito alla sempre più strana coalizione tra europopolari e nazional-sovranisti di incunearsi nelle contraddizioni delle due o tre attuali sinistre e nelle baruffe in "casa Grillo", o più ancora regole elettorali stringenti riusciranno a far cambiare verso a questa corrente divaricante che si sta dimostrando assai forte.
Contemporaneamente la fatica del centrosinistra e il suo scompaginamento sono sottolineati, ma non certo rivelati ora, dalla scarsa attrattività manifestata (quasi ovunque) dai candidati sindaco espressi dalla "coalizione senza convinzione" tra il Pd di Matteo Renzi e una serie di forze che si collocano alla sua sinistra e che Giuliano Pisapia e Pier Luigi Bersani stanno provando a federare. Oltre quattro anni di contrapposizione, anche assai aspra, in Parlamento tra ex alleati e una scissione ancora fresca in casa democratica hanno messo in circolo tossine difficili da contrastare e impossibili da ignorare. Per di più, in questo caso, i pontieri non possono neanche proporre modelli o laboratori di successo. E non è un mistero che nel campo progressista "di governo" negli ultimi ventiquattro anni si è sempre stentato a far tesoro degli errori commessi, superando la coazione a ripeterli.
Ciò che più conta è che gli elettori non perdonano più gli errori di alcuno, e non nascondono la sfiducia in tanta parte di questa politica, nei suoi deludenti giochi di prestigio, nei suoi arrocchi, nelle sue tentazioni. Chi ha vinto e chi ha perso lo tenga a mente. E cominci ad articolare le risposte, a partire da regole elettorali che riaffidino con vero rispetto ai cittadini potere di scelta sugli eletti. Il tempo stringe.

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