giovedì 30 settembre 2010
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Come lasciava intendere la decisione di chiedere la fiducia sulle sue dichiarazioni programmatiche, Silvio Berlusconi ha riconosciuto di fatto che l’alleanza tra Popolo della libertà e Lega Nord non basta a se stessa e ha rinunciato, almeno per ora, a cercare la soluzione della crisi virtuale della sua maggioranza in una scommessa elettorale che sarebbe comunque piuttosto azzardata. Ha quindi pronunciato un discorso che potrebbe essere definito "doroteo", cioè volto ad ammorbidire le tensioni politiche e a guadagnare lo spazio per mediazioni successive. Sarebbe però una semplificazione eccessiva pensare che alla base di questa abbastanza repentina trasformazione dell’atteggiamento del premier ci sia solo un calcolo di opportunità o la constatazione, poi certificata nel conteggio dei voti, che la pretesa autosufficienza dell’asse Pdl-Lega non esiste.Una caratteristica di Berlusconi è la sua acuta e realistica consapevolezza della percezione che si ha della politica al di fuori dei palazzi e tra la gente. E questa percezione oggi, come aveva ammesso all’antivigilia del passaggio parlamentare di ieri, è «disastrosa», e non è più sufficiente prendere le distanze dal «teatrino» della politica. Lo segnalano sia i sondaggi d’opinione, che parlano di un crollo di popolarità di governo e opposizioni parlamentari, sia le pressanti preoccupazioni che emergono tra quanti – l’«angustia per l’Italia» del presidente della Cei, cardinale Bagnasco lo ha espresso compiutamente – non si consegnano a logiche di parte.Il presidente del Consiglio sembra rendersene conto, il che lo induce a togliersi l’armatura e ad aprire un dialogo con i suoi avversari interni ed esterni alla maggioranza, riconoscendone – anche se a denti stretti – il ruolo autonomo. Di nuovo, nel suo discorso, non c’erano solo i toni pastello che hanno sostituito i colori acidi degli ultimi tempi, ma anche qualche apertura tematica di un certo interesse. Ai cinque punti programmatici ormai ultranoti ne sono stati aggiunti due, un’assunzione diretta da parte del premier della tematica «bioetica» e un impegno a garantire concretamente l’esercizio della piena «libertà educativa» delle famiglie. Si tratta di argomenti sui quali si sviluppa da tempo un’ampia iniziativa cultural-politica da parte di ambienti cattolici e laici e il cui rilievo oggettivo non può essere immiserito interpretandoli solo come l’offerta all’Udc o a settori del Pd di un terreno di confronto più favorevole. L’altra novità è il ritorno a un’impostazione più corretta del problema della riforma istituzionale, demandata a un confronto parlamentare con le opposizioni.L’approvazione del calibrato discorso del premier alla Camera, scontata eppure deludente, non basta ovviamente a chiudere una situazione critica, che ha origine nei caratteri specifici del bipolarismo italiano e che si esprime in un’ormai palese decomposizione delle alleanze elettorali e politiche del 2008. Quello che in realtà si è materializzato ieri è un provvisorio compromesso tra tutte le forze politiche – di maggioranza, ma anche di opposizione – che pensano di aver bisogno di tempo per costruire nuove proposte compiute e realizzare le alleanze necessarie per renderle competitive. Se però la proroga che il governo ha chiesto e ottenuto sarà impiegata utilmente, se l’affermazione di Berlusconi di lavorare per la creazione di un minimo di coesione e solidarietà nazionale si esprimerà in atti concreti, contro ogni previsione, la legislatura potrebbe davvero arrivare al suo termine naturale, come auspica il Quirinale. La richiesta da parte di Pier Ferdinando Casini di «fatti e non parole», è del resto sia una sfida sia un implicito impegno a non ostacolare la realizzazione dei punti programmatici indicati dal premier.Lo stallo istituzionale è stato, insomma, superato, quello politico resta da sciogliere. Lo conferma l’ambiguo risultato ottenuto da Gianfranco Fini. Il presidente-dissidente è in condizione doppiamente critica: ora la sorte del governo dipende anche formalmente dai suoi deputati, ma il suo stesso progetto – che nasce a destra e, allo stato, non può collocarsi altrove – dipende dalla sorte di governo e legislatura. Umberto Bossi, infine, si conferma inquieto, ed è il più solerte ed esplosivo nel rimarcare le difficoltà di alleati e avversari (vecchi e nuovi). Punta a confermare e accrescere il ruolo determinante della Lega nell’attuale compagine di centrodestra, ma sa che tutto è in movimento.
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