Tre piste per correggere il Reddito di cittadinanza
sabato 11 gennaio 2020

Le polemiche tra esponenti del Governo giallorosso hanno riacceso anche il dibattito sulla revisione del Reddito di cittadinanza. Diciamo subito in premessa che avere una rete di protezione universale contro la povertà è un’importante conquista di civiltà. Incontrare persone in difficoltà nelle nostre strade e pensare che il Paese abbia predisposto delle misure d’intervento per aiutarle almeno dal punto di vista dei trasferimenti monetari è un sollievo. Come si dice spesso, il grado di civiltà di una comunità si misura sulla sua capacità di migliorare le condizioni degli ultimi e dei più vulnerabili.

Detto questo, però, cerchiamo di capire cosa abbiamo imparato da questa sperimentazione e quali possono essere i correttivi necessari per risolvere alcuni punti deboli. L’introduzione del RdC ci ha fatto innanzitutto capire che il dato sul numero di poveri assoluti in Italia è sovrastimato, come recentemente sottolineato da Gorga, Gerotto e Galli in una ricerca per l’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica. I poveri assoluti sono calcolati in 5 milioni dall’Istat mentre soltanto 2,4 milioni hanno fatto domanda e successivamente ottenuto il reddito di cittadinanza. Una parte di quelli che non l’hanno fatto sono persone sicuramente povere che però non hanno avuto l’opportunità o l’aiuto 'consulenziale' necessario per accedere alla misura di sostegno, attraverso Caf o altre organizzazioni.

Un secondo insieme che non ha avuto accesso al Reddito di cittadinanza è rappresentato da circa 1 milione di stranieri poveri, residenti in Italia però da meno di 10 anni. Infine, c’è un’ultima porzione di popolazione considerata 'povera assoluta' dall’Istat, ma che in realtà non lo è, perché lavora in nero, e che non ha presentato domanda per il Rdc scoraggiata dalle sanzioni molto severe previste per i beneficiari senza requisiti. Il Reddito di cittadinanza si è rivelato una misura efficace per contrastare gli effetti economici della povertà, molto meno per accompagnare i poveri al lavoro.

A una prima valutazione solo un 15% circa dei percettori si sono rivelati occupabili. Pur escludendo i percettori non in età da lavoro (pensionati, ultra 60enni e minori poveri) il problema è che per rendere molti dei beneficiari 'occupabili' sono comunque necessari percorsi lunghi e costosi di affiancamento e di accompagnamento. La povertà è spesso associata a fallimenti relazionali, scarsità di competenze, problemi di autostima, disagio psichico, dipendenze. Non basta un software che collega domanda a offerta di lavoro per sciogliere i nodi. Il beneficiario del Reddito di cittadinanza non trova lavoro non perché gli manchino le informazioni sui posti disponibili, quanto piuttosto perché nelle condizioni in cui egli si trova molto spesso non è immediatamente occupabile. E questo spiega perché, come sottolineano quasi tutti i commentatori, gli strumenti di contrasto alla povertà non sono automaticamente anche strumenti di politiche attive per l’occupazione.

Altro problema più volte indicato è la soglia rigida a 780 euro per tutto il Paese. È una cifra molto alta (rispetto al reddito mediano se confrontata con misure analoghe di altre nazioni) e non tiene conto delle differenze geografiche delle soglie di povertà definite dall’Istat stesso. Il singolo che vive al Nord in un grande centro metropolitano ha per l’Istat una soglia di povertà di 834,66 euro (per inciso 27,44 euro al giorno mentre la soglia di povertà estrema nel mondo è 1,9 dollari al giorno e 4,5 miliardi di persone nel mondo vivono con meno di 5 dollari al giorno) mentre per quello che vive in un piccolo centro del Sud si stimano 563,77 euro (https://www.istat.it/it/dati-analisi-eprodotti/ contenuti-interattivi/soglia-dipoverta).

Si può discutere se queste soglie vadano o meno aggiustate per la qualità dei servizi pubblici (ad esempio la sanità che costringere molti cittadini del Sud a migrare verso le strutture ospedaliere del Nord) ma è un dato di fatto che il costo della vita nelle due aree è profondamente diverso. È evidente pertanto che la soglia unica a 780 euro dà il RdC a molte persone del Sud che non sono povere e ne priva diverse al Nord che invece lo sono (non a caso il Rei aveva soglie differenziate). Lo stesso problema si pone per i nuclei familiari numerosi perché le scale di equivalenza utilizzate per calcolare la soglia di povertà per tali nuclei sono troppo severe. L’altro problema fondamentale è che un RdC così elevato crea uno scalino che disincentiva la ricerca di lavoro. Supponiamo che il percettore possa affiancare al RdC qualche lavoretto saltuario in nero avendo a disposizione tutto il rimanente tempo libero e si trovi di fronte ad un’offerta di lavoro a tempo pieno di 800 o anche 900 euro.

È molto probabile che declinerà quel-l’offerta. Se vogliamo incentivare la ricerca di lavoro è necessario, come accade per alcune di queste misure in altri Paesi, continuare a erogare una parte del RdC anche dopo l’ottenimento del primo lavoro a mo’ di premio per evitare questo disincentivo e prevederne la sospensione solo temporanea in caso di contratti di breve e brevissima durata. Un’ultima considerazione in termini di benessere. L’economia civile e gli studi empirici sulla felicità e ricchezza di senso di vita ci dicono che una vita è felice e generativa quando siamo utili a qualcuno o a qualcosa. Ricevere un trasferimento monetario non risolve di per sé il problema (ancor più se e quando s’innesta su una storia di dipendenze). L’attivazione e la capacitazione dei beneficiari per renderli nuovamente cittadini soddisfatti in grado di superare la trappola della povertà di senso di vita (e non solo quella della povertà materiale) è cosa complicata e richiede affiancamento e accompagnamento, ovvero ricostruzione di relazioni, legami sociali e autostima.

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