venerdì 14 settembre 2012
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​«Il Libano è un messaggio» era solito dire Giovanni Paolo II con chiaro riferimento alla tradizione di pacifica convivenza tra cristiani e musulmani nel Paese dei cedri. A distanza di quasi vent’anni Benedetto XVI riprende quell’insegnamento e, arrivando oggi a Beirut, lo rilancia a 360 gradi, proprio mentre la religione viene di nuovo presa a pretesto per infiammare ulteriormente la regione più "calda" del pianeta. Le tragiche notizie provenienti da Bengasi, dall’Egitto e dello Yemen si aggiungono infatti (verrebbe quasi da dire con cronometrica precisione) a quelle che da mesi arrivano dalla Siria. Ma lo scenario in cui si colloca questo 24° viaggio internazionale di Papa Ratzinger, se da un lato acuisce le preoccupazioni, dall’altro - paradossalmente - ne sottolinea l’importanza, dato che il Pontefice, proprio in nome della sua fede in Cristo, intende testimoniare la sua volontà di pace e di dialogo con tutti.  In questo senso il Libano è davvero un messaggio positivo. Certo, non si può dimenticare che lo è stato in tempi recenti anche in senso contrario (proprio Giovanni Paolo II fu costretto, tra il 1993 e il 1994, a rimandare un suo viaggio nel Paese a causa della guerra che fece di Beirut una nuova Berlino, con la cosiddetta "linea verde" al posto del muro, ma altrettanto invalicabile). Oggi, però, e grazie alla pace faticosamente riconquistata, la patria dei Fenici vuole tornare ad essere quella Svizzera del Medio Oriente che era considerata un tempo. Non a caso, come ha detto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il Papa l’ha scelta «come meta per la consegna del documento conclusivo del Sinodo sulla regione, a motivo del suo messaggio di convivenza, di cittadinanza e di diritti, assicurati a tutte le componenti religiose ed etniche».Così il messaggio del Libano è innanzitutto un paradigma di pacifica coesistenza tra le 18 confessioni religiose, all’interno di uno Stato democratico, in cui l’equilibrio istituzionale si regge anche su una sorta di versione libanese del manuale Cencelli. Il presidente della Repubblica è un cristiano cattolico-maronita, il premier un musulmano sunnita, mentre in Parlamento siedono 64 deputati islamici e altrettanti cristiani. E proprio alla comunità cristiana del Medio Oriente è diretto il secondo messaggio.Nonostante tutto ciò che è accaduto, questa è ancora la nazione con la maggior presenza cristiana nel mondo arabo: oltre il 40 per cento della popolazione. Dunque la dolorosa diaspora che assottiglia progressivamente il numero dei fedeli non è un destino ineluttabile. Qui i cristiani possono ancora vivere e le Chiese degli altri continenti possono aiutarli a restare. Il recente Sinodo, del resto, si è espresso chiaramente in tal senso.

C’è poi un terzo messaggio, diretto alla vicina Siria e a tutte le cosiddette "primavere arabe", che costituisce forse l’unica road map percorribile per uscire dall’impasse del dubbio serpeggiato anche tra autorevoli rappresentanti cristiani. Se cioè sia meglio il perdurare di feroci regimi dittatoriali cosiddetti "laici", o la loro caduta che può aprire la strada all’instaurazione della sharia o peggio al caos in cui prolifera il terrorismo di matrice pseudoreligiosa (scenario, questo, tornato di drammatica attualità proprio in queste ore). Additando il Libano come esempio, il Papa indica anche come sfuggire alla morsa di tale dualismo. In pratica, se nella regione prenderanno piede regimi democratici tipo quello di Beirut, i diritti umani, a cominciare dalla libertà di fede, non potranno che beneficiarne e i cristiani arabi potranno fare la loro parte di cittadini, al pari dei musulmani, per la costruzione di una società libera e rispettosa della coscienza di ognuno. È ovvio, infine, che un simile messaggio di pace e di dialogo sia diretto anche alla comunità internazionale, affinché si attivi per indurre il Medio Oriente a incamminarsi con decisione su tale strada. E tutto questo il Pontefice non lo dirà solo con le parole, ma anche con i gesti. Estremamente significativa appare in tal senso la scelta di celebrare la Messa di domenica nella zona sottratta alle acque del Mediterraneo riversando in mare le macerie della guerra. Come dire che la pace è possibile. Anche in questa martoriata regione.

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