venerdì 13 novembre 2015
Dal prossimo gennaio tutti i dirigenti dovranno pubblicare sul sito dell’organizzazione  i redditi da lavoro dipendente, autonomo e da pensione. E non è l'unica novità importante.  (Francesco Riccardi)
COMMENTA E CONDIVIDI
La svolta è netta, il rimedio individuato quasi drastico. Dal prossimo gennaio tutti i dirigenti della Cisl dovranno pubblicare sul sito dell’organizzazione il quadro C della dichiarazione fiscale, quello contenente i redditi da lavoro dipendente, autonomo e da pensione. Non solo, dunque, lo stipendio percepito dalla propria federazione, ma anche eventuali introiti da secondi incarichi, partecipazione a consigli o assegni previdenziali incassati. Anche perché queste seconde o terze entrate diverranno incompatibili con il ruolo dirigenziale. Secondo le nuove regole che la Cisl si darà, infatti, un segretario di categoria non potrà essere pensionato e, se dovesse ricoprire altri incarichi in società collegate o in enti bilaterali, gli emolumenti percepiti dovranno essere versati direttamente alla confederazione come forma di autofinanziamento. Il sindacato prova così a voltare decisamente pagina rispetto alle critiche piovutegli addosso prima per la vicenda della pensione percepita dall’ex segretario generale Raffaele Bonanni, cresciuta grazie a progressivi aumenti di stipendio, e poi per la denuncia dei maxiemolumenti incassati da alcuni (pochi in verità) dirigenti che cumulavano assegno pensionistico e stipendio oppure ricoprivano cariche multiple sommando salari e gettoni. Di questo e di tanto altro la Cisl, guidata da Annamaria Furlan, discuterà a partire da lunedì a Riccione nella conferenza nazionale d’organizzazione. L e scelte contenute nelle tesi sottoposte a dibattito e votazione - relative all’introduzione di un codice etico, alla certificazione da parte di esterni dei bilanci che andranno pubblicati a cura di ogni livello organizzativo, assieme a una vigilanza ispettiva rafforzata e una maggiore apertura ai giovani, anche con un limite inderogabile al terzo mandato per le cariche elettive e un contratto unico per tutti i dipendenti - segneranno certamente un cambiamento forte rispetto a un passato nel quale l’organizzazione dei sindacati è apparsa arrugginita, oscura se non opaca. La questione morale - che si afferma anzitutto garantendo la massima trasparenza e pubblicità possibile alle attività economiche e sociali delle organizzazioni - è ormai divenuto un prerequisito essenziale per la credibilità di qualsiasi corpo sociale e a maggior ragione per quelli, più importanti e complessi, di rappresentanza. Trasparenza e buon uso delle risorse, però, sono solo un pre-requisito, appunto. Una condizione necessaria ma non sufficiente per lo stare in campo da protagonista del sindacato. Tre sono invece le questioni fondamentali che la Cisl deve affrontare: quali risposte dare alla sfida della politica, quali obiettivi strategici fissare in un mondo del lavoro in profonda trasformazione e come adattare struttura e azione sindacale alle nuove esigenze. Su quest’ultimo punto, la segretaria generale Annamaria Furlan è ben decisa a portare fino in fondo lo spostamento del baricentro della confederazione verso il livello locale, destinandovi il 70% delle risorse economiche, e a concludere il processo di accorpamento delle categorie che ha incontrato diverse resistenze interne. Con l’obiettivo fondamentale di riconcentrare il sindacato sul proprio mestiere: la contrattazione. S ul piano 'politico', tramontata definitivamente l’epoca della concertazione, le confederazioni devono piuttosto far fronte al rischio di spiazzamento derivante dall’'invasione di campo' del potere legislativo ed esecutivo. La tendenza a 'proteggere dall’alto' il lavoratore a norma di legge toglie infatti forza alla rappresentanza e alla contrattazione, irrigidendo e complicando il quadro sociale. E qui sono incombenti almeno due rischi per il sindacato. Il primo e più concreto è che il governo Renzi intervenga regolando la rappresentanza, a causa dell’inerzia delle stesse forze sociali che in 2 anni non sono state in grado di dare concretezza all’accordo da loro stesse firmato. Il secondo, meno probabile ma che resta come una spada di Damocle, è che lo stesso esecutivo introduca anche il salario minimo legale, dando così un colpo di maglio alla contrattazione nazionale e ridimensionando ulteriormente il ruolo del sindacato quale agente regolatore del mercato del lavoro. Tuttavia è ovviamente nei luoghi di lavoro che il sindacato si gioca davvero il futuro. La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica hanno infatti già prodotto cambiamenti strutturali nel sistema delle imprese e nelle tipologie di lavoro, ma altri se ne attendono di più forti e profondi per l’azione combinata di automazione, progresso informatico ed estensione della rete internet. N on a caso si parla di industria 4.0, di quarta rivoluzione industriale, di cyber physical systems in grado di produrre 'da soli' grazie all’'internet delle cose' che permette lo scambio di informazioni tra i robot, il controllo a distanza e la capacità di auto-apprendimento delle nuove macchine. In questo scenario, la Cisl ha da tempo abbandonato le pregiudiziali ideologiche e vede nella flessibilità «non un nemico da combattere, ma un tema rilevante nelle strategie contrattuali». Soprattutto, forte della propria storia e capacità di elaborazione, la Cisl intende ora «rafforzare la diversità della propria concezione di sindacato», lasciando alla Cgil l’esercizio tradizionale del conflitto, alla Fiom il neo-antagonismo, puntando invece a costruire un vero sistema partecipativo, «abbandonando ogni nostalgia verso un passato prevalentemente rivendicativo, come pure ogni timidezza verso l’alleanza di lungo periodo tra capitale e lavoro, che valorizzi la condivisione di interessi e obiettivi tra le imprese e lavoratori». Partecipazione che si può costruire solo partendo dai luoghi di lavoro, da fabbriche e uffici. E dunque la stessa struttura contrattuale non può che dover essere adattata a questo cambio di paradigma, con una progressiva valorizzazione del secondo livello quello appunto aziendale o territoriale - e un contemporaneo ridimensionamento del contratto nazionale, al quale lasciare la regolazione di base e una minima - davvero minima in una congiuntura a inflazione zero come l’attuale - difesa del potere d’acquisto dei salari. C alando i principi nel concreto, il banco di prova già attivato è il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. «Il più difficile della nostra storia», lo definisce a ragione il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli (tra le poche federazione con una crescita di iscritti anche giovani). Federmeccanica, infatti, dopo 7 anni di vacche magre che hanno portato a una riduzione del 30% della capacità produttiva impiantata, è rigidamente chiusa a qualsiasi ipotesi di aumento salariale. «Questo contratto si potrà firmare solo se altamente innovativo – spiega ancora Bentivogli –. Nel livello nazionale andrà garantito il diritto soggettivo alla formazione, dovremo riformare gli inquadramenti fermi al 1973 e sviluppare il welfare bilaterale e assicurare un minimo di garanzia del potere d’acquisto dei salari. Poi, però, occorrerà fare un vero salto di qualità partecipativo sviluppando la contrattazione aziendale (o territoriale) nella quale distribuire gli aumenti di produttività, adattare l’organizzazione, costruire dal basso un nuovo modo di produrre. Insieme». Non è solo il sindacato a essere in ritardo nel progettare una nuova partecipazione. Anzi, dalle imprese vengono molte chiusure sospettose e incapacità di cogliere le opportunità. Ma all’orizzonte non si vedono altre vie per valorizzare il lavoro, in un contesto che rischia di porre ai margini, assieme ad esso, la persona stessa. © RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: